Tale universalità rimanda alla capacità comunicativa tra soggetti e culture che, senza perdere la loro identità, si fanno intendere dall’altro, interagendo significativamente con esso.
L'universalismo viene quindi riconfigurato come «l'orizzonte d'intesa» di più particolari: un orizzonte che può sussumere dentro di sé l'idea di una pluralità di punti di vista particolaristici, talché il consenso sui diritti umani dovrà avvenire attorno a un insieme aperto e pluralistico di percezioni etiche essenziali, che partono dagli specifici, particolari contesti culturali, ma che tendono a trascenderli, nella prassi della interazione comunicativa.
Tale universalismo dà pertanto la possibilità di essere effettivamente pertinente ed applicabile per tutte le parti coinvolte nel conflitto, non soltanto per quelle che vivono ed operano nello stesso contesto ma anche per coloro che vivono e operano in contesti del tutto differenti.
I diritti umani si configurano come il bisogno comune dei nostri tempi e che possono realizzarsi pragmaticamente attraverso il diritto di relazione.
Pertanto, l'accordo sui diritti umani esprime, secondo Pastore, la convergenza pratica delle più diverse ideologie e delle più svariate tradizioni, mentre il dialogo costruttivo intorno al fondamento di tali diritti intrapreso ed attuato attraverso il diritto di relazione, aggiungo, costituisce un modo per rafforzare la loro protezione ed è un servizio reso alla causa del rispetto degli esseri umani e alla pace.
Ebbene, il diritto di relazione costituisce una strada maestra per operare una continua apertura sul reale con la necessità e la possibilità che si dà di ristabilire la relazione tra le persone configgenti, la disponibilità alla tutela della relazione intersoggettiva: autentico bene da proteggere, per condurre i litiganti verso una vera e propria trasformazione personale.