Su appello dell’Agenzia delle Entrate, la Corte suprema è stata investita dell'esame di una controversia relativa all’accertamento per omesso versamento delle imposte sul reddito nei confronti del lavoratore dipendente, in seguito al mancato versamento delle ritenute da parte del datore di lavoro.
La suprema Corte ha annullato la decisione dei giudici di merito che nei primi due gradi di giudizio si erano pronunciati in maniera favorevole al lavoratore ritenendo che la responsabilità di quest'ultimo fosse soltanto residuale rispetto a quella del sostituto d'imposta (datore di lavoro).
Secondo i giudici di legittimità, nei casi di accertamento per mancato versamento delle ritenute, a prescindere se la ritenuta sia a titolo di imposta o a titolo di acconto, il sostituito (nel caso di specie lavoratore dipendente), in base alla previsione dell’articolo 64 del D.P.R. n. 600/1973, deve ritenersi già in origine e non solo in fase di riscossione, obbligato in solido al pagamento dell’imposta, quindi soggetto all’accertamento e a tutti i conseguenti oneri.
Il dipendente, a sua volta, potrà recuperare le somme indebitamente pagate attivando l’azione di regresso nei confronti del datore di lavoro che, dopo aver eseguito la ritenuta, non ne abbia eseguito il versamento.
In sintesi, il fisco può emettere accertamento direttamente a carico del lavoratore per il mancato pagamento della ritenuta d’acconto, ancor prima di rivolgersi all’azienda.Il dipendente può comunque agire in via di regresso contro il datore di lavoro.