Ritorno al passato - sulla Delorian verso Capeside

Creato il 07 settembre 2011 da Nonchiamatemiborgia @nonsonoBorgia
Ieri stavo pranzando allegramente alle tre di pomeriggio. Sto studiando per gli ultimi due esami e ho completamente sballato le mie abitudini: siano esse alimentari o sociali, è tutto un po' scomposto. L'importante è che non si scombinino le consuetidini igieniche.
Sta di fatto che erano le tre di pomeriggio. Mi sono preparata degli ottimi ravioli ai funghi della coop, mi sono seduta a tavola e ho deciso ingenuamente di accendere la tv. Era già sintonizzata su La5 e indovinate cos'è stato riesumato per riaprire la stagione autunnale?...DAWSON'S CREEK. Ve lo ricordate? Presa da un folle momento di nostalgia adolescenziale ho provato a vedere una decina di minuti di quella puntata, che peraltro era la prima. Ho fatto un salto nel passato, è come se fossi salita sulla Delorian di ritorno al futuro. Solo che non c'era Marty.
Insostenibile. Insopportabile. In-qualunque cosa. Ma come facevamo a sorbircelo? Forse ascoltavamo solo tre minuti di quei tremendi sproloqui filointellettuali e aspettavamo tutta la puntata solo per capire se Dawson si sarebbe mai accorto di Joey.
Una cosa incredibile. Vorrei davvero conoscere il produttore di Dawson's Creek; gli farei un'intervista spettacolare. “Da dove è nata l'idea di questa serie? Ha tratto alcuni spunti dal suo passato adolescenziale?” ma soprattutto “Che razza di adolescenti conosce?”.
No, dai, davvero. Io provo a scavare nel mio passato, tento di recuperare i miei quindici anni e... non trovo niente che mi accomuni a quei quattro ragazzi cresciuti sulla riva del fiume di Capeside. Com'è che due amici passano le loro giornate a guardare film di Spielberg? A quindici anni, di solito, si ha una curiosità tale di vedere il mondo, di staccarsi dal proprio ambiente domestico che nemmeno un prigioniero di Alcatraz brama una simile evasione.
E invece no. I ragazzi di Dawson's creek continuavano a voler stare lì, rinchiusi a parlare di questioni esistenziali, analizzando il sesso e l'amore senza mai agire. Stagioni su stagioni passate a discutere e a spulciare problematiche che, seppur importanti, a quindici anni vengono prese con estrema leggerezza.
Il protagonista, Dawson (con una fronte altissima, se posso permettermi), nella prima puntata della prima serie afferma “Adoro Spielberg. Penso che nei suoi film ci siano le risposte a tutti i grandi dilemmi della vita”. No, scusa, ma tu che diavolo ne sai dei grandi dilemmi della vita? Insomma, secondo Dawson-fronte sproporzionata Leery, Spielberg è il Nostradamus hollywoodiano.
Joey, la ragazza semplice e con una storia tragica alle spalle, passerà tutte le stagioni del telefilm a rimembrare la botta di sfortuna che si è scagliata sulla sua famiglia quando lei era una ragazzina. Ok, non deve essere stato semplice, ma non è che ogni volta che qualcosa ti va male puoi tirare fuori la tua storia triste. E poi non si decideva mai: Dawson-Pacey, Pacey-Dawson. Manco fossero intercambiabili. Mobbasta!, come direbbe il buon Maccio Capatonda.
Jen, solo perchè ha fatto sesso a quindici anni, rimarrà sempre la sovversiva, quella che non rispetta le regole e, per questo, viene poi punita con l'emarginazione. Quindi il telefilm, oltre a essere poco credibile, è pure bigotto.
Pacey, che dire di lui. È lo sfigatello, quello che bighellona tutto il giorno. Forse è quello più verosimile come personaggio, ma c'è da dire che, a volte, è troppo emotivo.
Discorsi arzigogolati, intrisi di parolone che un ragazzino non conosce nemmeno. Io provo a ricordare e i miei quindici anni, in realtà, sono stati così: i ragazzi pensavano al loro primo motorino su cui, magari, ci avrebbero portato in doppia la ragazza a cui, molto probabilmente, avrebbero infilato la lingua in gola. Avevano sempre un condom nel portafoglio (e forse, alcuni di loro, ce l'hanno ancora), una specie di amuleto di buon auspicio. È così.
E le ragazze, per quanto più sensibili e in anticipo per l'appuntamento con la maturità, non erano molto diverse. A quindici anni anche noi ragazze eravamo un po' superficiali: si pensava ai vestiti e al trucco, che dovevano essere sempre perfetti. E quando a 22 anni rivedi le foto della tua prima adolescenza capisci che non erano perfetti. Al massimo ridicoli; un ombretto di un colore improponibile e un fondotinta troppo scuro per la tua pelle. Eravamo così a quindici anni.
Con le mie amiche non ero esistenzialista (e sapete cosa, non lo sono ancora...): parlavo di ragazzi, parlavo di festini. Non stavo a dissertare sul bacio come forma d'amore. Baciavo e basta.
E mi rendo conto che a 22 anni non mi riconosco ancora negli intellettualismi dei ragazzi di Capeside: pesanti e insostenibili come una zavorra di piombo. Cavolo, era meglio se, invece di salire sulla Delorian, mi guardavo una favolosa puntata di Centovetrine, con donne che girano per casa con tacco 12 e si svegliano già truccate.

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