di Iannozzi Giuseppe
Un genio mio fratello: ti guarda dall’alto in basso, con affettata distrazione. Schifato socchiude gli occhi porcini, spara poi una frase fatta o un insulto camuffato da eufemismo e ti dà le spalle. E’ uno di quelli che s’è fatto da sé, così gli piace pensare calpestando chiunque incroci la sua strada. Non è un uomo cattivo. A settanta anni si può dire che ha avuto pressoché tutto dalla vita; e però non gli basta, non gl’è mai bastato quello che ha ricevuto in dono né quello che lui dice d’essersi guadagnato col sudore della sua fronte. Da giovane non ha mai guardato a nessuno con ammirazione, né è mai stato in grado di dire un ‘grazie’. La parola ‘perdono’ non ha mai fatto parte del suo vocabolario, nonostante di torti sulla coscienza ne abbia forse più di altri self-made man. Da giovane disprezzava l’umanità che, suo malgrado, lo circondava, di certo molto più di oggi; tuttavia nella fase dell’innamoramento con le donne riusciva a essere sin troppo prodigale, al punto da mortificarsi. Questa la sua debolezza e forse la sua fortuna, altrimenti oggi sarebbe un Caino e non un semplice vecchio spocchioso.
La fortuna gl’ha arriso, complice una moderata temerarietà: il mercato immobiliare gl’ha reso bene, e lui è riuscito a correre sempre il rischio minimo; ha iniziato acquistando un piccolo appartamento, lo ha fatto rimettere a posto e gl’è riuscito di venderlo al doppio. Non gl’è stato difficile negli anni Sessanta e Settanta acquistare intere palazzine e rivenderle poi, una volta ristrutturate, al doppio se non al triplo del prezzo iniziale. Non s’è mai fatto problema di sbattere sulla strada famiglie intere, né ha mai sentito i pianti delle donne e dei bambini. Per lui c’era soltanto che le case le aveva pagate per cui era suo preciso diritto rivenderle al miglior offerente: nessun problema morale gl’ha mai impedito di buttar fuori a calci nel sedere famiglie intere e anziani malconci. A chi osava dirgli che non era modo di fare, lui rispondeva: “Ho pagato per quelle case, loro no”. Nel giro di pochi anni, con qualche buona conoscenza a dargli l’imbeccata giusta, mio fratello ha fatto i soldi facili rimanendo sempre nella legalità, o per meglio dire nel diritto di fare del suo quello che riteneva più opportuno per aumentarsi il capitale.
Mio fratello non ha avuto figli. Ha avuto due compagne importanti, ma non si è mai sposato in chiesa pur desiderando una famiglia e un erede. Ha avuto anche altre storie, ma due femmine in particolare lo hanno influenzato nel bene e nel male; dico due ‘femmine’ perché per lui le donne sono sempre state soprattutto delle femmine, qualcuno con cui andare a letto e scopare. Pur desiderando un figlio non ne ha avuti. Il destino gl’ha fatto incontrare sì delle femmine come lui voleva che fossero, ma sterili. Morte le storie con le due compagne della sua vita, ha poi cercato riparo fra le gambe di altre, ma gli anni Ottanta hanno seminato presto il panico dell’Aids. Costretto a usare il profilattico, alla fine anche con il gentil sesso ha preso a essere sprezzante: non tollerava difatti che si mettesse in discussione che lui, che proprio lui, non fosse affidabile. Non gl’è mai passato per la testa che le scopate con il profilattico che s’è fatto in quegli anni gl’hanno forse salvato la vita; non ha mai pensato d’esser andato a letto con una donna un po’ troppo facile di costumi. Sia come sia, a settanta anni mio fratello ha un capitale non da poco, una salute di ferro e la sicurezza che la vecchiaia se la godrà sino all’ultimo giorno.
Io sono più vecchio di lui di quindici anni buoni. Mia moglie è morta da due anni. Mi manca. In ogni caso presto la mia esistenza su questa terra giungerà a termine, così come deve essere.
E’ venuto a trovarmi mio fratello, l’altro giorno: erano quaranta anni che non ci si vedeva più. Ha bussato alla mia porta e non l’ho riconosciuto. Non avevo proprio idea di chi potesse essere. Anche dopo che l’ho fatto accomodare in salotto sono rimasto a fissarlo incredulo: sul serio, mio fratello? E’ stato come trovarmi di fronte a uno sconosciuto. Ha detto un paio di cose, alla sua maniera, squadrandomi dall’alto in basso. E per questo solo particolare sono stato mio malgrado costretto a riconoscere nell’uomo davanti a me un elemento della mia famiglia.
Se n’è andato com’è venuto. Disgustato. Senza salutare, senza pronunciare il mio nome.
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