"Ritratto di signora" #20

Creato il 01 luglio 2013 da Franci

Questo mese la parola va a Toni,fidanzato di Miki.Potrete trovare lo stesso articolo su Mr.Ink: Diario di una dipendenza,Miki in the pink Land,The Pauper Fashionist,Stasera cucino io e Books Land.
Quando la mia fidanzata mi ha proposto di scrivere un articolo per la rubrica, sono quasi svenuto.
Superato lo shock iniziale, una figura, una sola, chiara ed inequivocabile, mi si è presentata davanti agli occhi,una figura di grandissimo valore storico, pari, e non credo di esagerare affermandolo, al suo corrispettivo maschile, ma di cui si è parlato troppo poco, a cui raramente sono stati riconosciuti meriti, innegabili dal mio punto di vista, per il contributo portato alla lotta per la liberazione del nostro Paese dalla piaga nazifascista. 
Le donne partigiane.

Queste donne, alcune giovanissime, altre meno, hanno vinto una guerra senza sparare un colpo di fucile, sempre presenti negli scontri, pur non affrontando direttamente il nemico. Silenziose, ma la cui azione fu rumorosa ed efficace quanto quella dei colpi che partivano dai fucili dei loro compagni e delle loro compagne (molte, in realtà, erano le donne combattenti), dei loro mariti, fratelli, figli. Fondamentali furono le infermiere, così come le staffette e le informatrici, che fornivano ai combattenti dettagli fondamentali circa le azioni nemiche, che portavano viveri, indumenti e munizioni, andando su per i colli, attraverso boschi, con il costante rischio di essere scoperte e fucilate.
Le staffette costituirono un ingranaggio importante della complessa macchina dell'esercito partigiano. Senza i collegamenti assicurati dalle staffette le direttive sarebbero rimaste lettera morta, gli aiuti, gli ordini, le informazioni non sarebbero arrivati nelle diverse zone. Delicato e duro, quasi sempre pericoloso era il loro lavoro; anche quando non attraversavano le linee durante il combattimento, sotto il fuoco del nemico, dovevano con materiale pericoloso, talvolta ingombrante, salire per le scoscese pendici dei monti, attraversare torrenti, percorrere centinaia di chilometri in bicicletta o in camion, spesso a piedi, non di rado sotto la pioggia e l'infuriare del vento. Pigiata in un treno, serrata tra le assi sconnesse di un carro bestiame, la staffetta trascorreva lunghe ore, costretta sovente a passare la notte nelle stazioni o in aperta campagna sfidando i pericoli dei bombardamenti e del tedesco in agguato.
Spesso dovevano precedere i fascisti che salivano, per avvertire in tempo i nostri, e talvolta restavano coinvolte nel rastrellamento. Dopo i combattimenti non sempre i partigiani in ritirata potevano trascinarsi dietro i colpiti gravemente. Se c'era un ferito da nascondere rimaneva la staffetta a vegliarlo, a prestargli le cure necessarie, a cercargli il medico, a organizzare il suo ricovero in clinica.
Non di rado, dopo la battaglia, la staffetta restava sul posto nel paese occupato, per conoscere le mosse del nemico e far pervenire le informazioni ai comandi partigiani. Durante le marce di trasferimento erano all'avanguardia: quando l'unità partigiana arrivava in prossimità di un centro abitato, la staffetta per prima entrava in paese per sincerarsi se vi fossero forze nemiche e quante, se fosse possibile o meno alla colonna partigiana proseguire.
Durante le soste di pernottamento e di riposo le staffette andavano nell'abitato in cerca di viveri, di medicinali e di quant'altro occorreva. Infaticabili, sempre in moto notte e giorno per stabilire un collegamento, ricercare informazioni, portare un ordine, trasmettere una direttiva; spesso nella piccola busta che la staffetta nascondeva in seno vi era la salvezza, la vita o la morte di centinaia di uomini. (“Il Monte Rosa è sceso a Milano, Secchia Moscatelli).
Queste donne, forti e coraggiose, sono state il vero motore della Resistenza, che non sarebbe stata possibile senza di loro e che il 25 Aprile del 1945 pose fine all’oppressione del regime fascista.
Una donna in particolare, di cui sono venuto a conoscenza per caso, leggendo la sua autobiografia, “Da Rivoli verso il mondo”, ha avuto un ruolo importantissimo nella lotta partigiana del torinese. 

Si tratta di Lidia Lazzero, nata nella cittadina alle porte del capoluogo piemontese, il 22 Gennaio del 1925, anno in cui il Fascismo subisce una svolta che porterà all'abolizione delle libertà democratiche e alla realizzazione di una dittatura autoritaria.


Lidia trascorre l’infanzia e la giovinezza segnate dalla profonda sofferenza di vedere l’amato fratello, Mario, continuamente e pesantemente punito per il rifiuto di partecipare alle esercitazioni e al corso premilitare voluti dal duce, che si svolgono il sabato pomeriggio, il cosiddetto “sabato fascista”. Questi episodi fanno nascere in lei, come racconta nel libro, “una coscienza e un senso di ribellione alle cose ingiuste”, sentimenti che si fanno sempre più forti con il passare degli anni, a causa delle insopportabili condizioni portate dal regime.
Il 10 Giugno del 1940, dopo la dichiarazione di guerra alla Francia pronunciata da Mussolini, Lidia viene umiliata e schiaffeggiata di fronte alla piazza perché si rifiuta di applaudire.
Nel ’43, a seguito dell’arresto del duce, assieme ad altri antifascisti, si reca alla Casa del Fascio, ancora occupata dai fedelissimi di Mussolini, con la ferma volontà di restituire l’edificio ai cittadini rivolesi. Sopravvive per miracolo all’enorme mole di fuoco proveniente dalle armi dei tedeschi asserragliati nella casa, che colpiscono a morte i suoi compagni prima di fuggire dal retro dell’abitazione. Viene anche arrestata con l’accusa di aver insultato due donne fasciste. È dopo il rilascio che comincia la sua vera e propria lotta contro il regime, entrando a far parte della 15° brigata delle Squadre di Azione Partigiana, a comando del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia.
I primi periodi di lotta si svolgono in clandestinità, nella fabbrica in cui è impiegata, in cui si producono accessori aeronautici. A seguito di una protesta degli operai, che lamentano turni ed orari proibitivi e scarso cibo, per via del razionamento dei generi alimentari, i nazisti, per calmarli e garantirsi la presenza di qualche operaio nelle fabbriche, decidono di consegnare alcune derrate alimentari, che Lidia, d’accordo con altri partigiani, anch’essi operai nella stessa fabbrica, decide di rubare e consegnare ai combattenti che patiscono il freddo e la fame, braccati dai nazisti sulle montagne. È così che ha inizio la sua attività di staffetta, che continua nonostante il licenziamento a seguito della denuncia di alcune spie presenti tra gli operai.
Solo per la città di Rivoli, la lotta partigiana è costata la vita di moltissime donne: 99 combattenti e 38 civili uccise dai nazisti, 185 deportate nei campi di sterminio.

A soli 18 anni, la partigiana Lidia ha il coraggio e la forza di affrontare il nemico nei campi, in città, sui monti. Attraverso i boschi avviene gran parte dei suoi rischiosi trasporti di viveri, munizioni ed indumenti per i compagni partigiani. E poi ancora, instancabile, in giro per ospedali a cercare, assistere e sostenere i combattenti feriti. È proprio lei a ritrovare la salma del fratello di una sua cara amica, morto a seguito di un rastrellamento nelle valli di Lanzo. E sempre a lei tocca il doloroso compito di riportarla a casa e dare la tragica notizia alla famiglia.

Il 2 Maggio del 1945, l’occupazione della Germania da parte delle truppe sovietiche restituisce la libertà, ponendo fine ad un incubo durato oltre vent’anni. Tra il 1943 e il 1945 il nostro Paese ha lottato contro la dittatura instaurata da Benito Mussolini e fondamentale è stato l’apporto delle donne italiane, al fianco dei loro padri, fratelli, mariti e figli, spesso fino alla morte.

Dopo la fine del conflitto, Lidia dedica la sua attività all’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, occupandosi della compilazione delle pratiche per il riconoscimento della partecipazione alla Lotta di Resistenza. Negli anni successivi le vengono riconosciuti particolari meriti tanto da essere insignita col Diploma d’Onore di Combattente per la Libertà, premio che le viene conferito dalla Presidenza della Repubblica.
Tante e importanti sono le mansioni che Lidia svolge dopo il conflitto: la Camera del lavoro di Torino, la militanza all’interno del Partito Comunista Italiano, con il quale è eletta dal ’51 al ’56 nel Consiglio Comunale di Rivoli. Più volte arrestata durante manifestazioni per i diritti dei lavoratori, viene poi trasferita alla segreteria generale della C.G.I.L. a Roma e successivamente a Sofia, in Bulgaria, alla Federazione Sindacale Mondiale.
Dopo ben sessant’anni di lavoro, in patria e all’estero, sempre al fianco dei lavoratori, Lidia torna a Rivoli, dove entra a far parte del direttivo del Sindacato Pensionati Italiani e dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, con cui organizza una serie di incontri rivolti ai ragazzi delle scuole medie di Torino e provincia, durante i quali affronta il tema della guerra e racconta come è nata la Resistenza e come ha dedicato la sua vita a ideali come la libertà, la giustizia e il lavoro.

Non nascondo che, mentre quest’articolo prendeva vita, mi era venuta  l’idea di intervistarla, ma purtroppo Lidia Lazzero ci ha lasciati il 19 Maggio del 2010, a 85 anni.



Per concludere vi lascio un pensiero tratto dal suo libro, in cui mi ritrovo moltissimo:
“Ai giovani desidero ancora spiegare perché sono riuscita a fare tutto quanto ho vissuto durante i miei ottantatre anni. Io sono riuscita grazie alla mia forza di volontà e al mio forte ideale, perché – ricordate tutti sempre – giovani e meno giovani – che sia nel bene che nel male – e purtroppo può esserci più male che bene – io sono stata sorretta dai miei ideali di pace, libertà, giustizia, lavoro, studio, politica. E non tanto per me, ma rivolti a tutti e al bene dell’umanità. Ogni giorno mi ripetevo: nonostante tutto la vita è bella finché son viva, è bella in ogni suo momento, nella gioia e nel dolore. Basta saperla vivere e, soprattutto, mai cercare di voler l’impossibile.”
Tony.
Al prossimo mese,
Franci,Monica,Mik,Miki,Clara e Fede

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