Rituali magico-religiosi della tonnara

Creato il 17 giugno 2013 da Marcella

Concettualmente la tecnica della tonnara, come ho postato precedentemente, consiste in una rete messa in perpendicolare alla costa che intercetta il corso dei branchi di tonni e li indirizza al parallelepipedo di rete (isola) diviso in camere (vasi) separate da reti mobili (porte) che i tonnaroti abbassano per fare passare i pesci fino all’ultima camera, detta “della morte”, ove avviene la mattanza; i tonni vengono issati a forza di braccia dai tonnaroti a bordo dei vascelli (imbarcazioni lunghe 18-22 metri) con i corchi (uncini dalle diverse lunghezze).

tonnara di san vito lo capo

Negli anni ’60 dello scorso secolo molte tonnare siciliane (ve n’erano in attività circa venti), per contrastare la diminuzione delle catture, adottarono una innovazione strutturale mutuata dagli impianti spagnoli, e quella fu davvero una rivoluzione per un settore estremamente conservatore: la tradizionale apertura fra le reti per l’ingresso dei tonni in tonnara (foratico) fu sostituita dalla bocca a nassa (ucca a ‘nassa), un imbuto di rete che rende pressoché impossibile la fuga dei pesci catturati.

schema camera della morte

Ancora oggi nel tempo della migrazione genetica dei tonni (maggio – giugno), quando sul mare si vedono galleggiare quegli idrozoi che i marinai chiamano “vilidde”, i tonnaroti sono certi che assieme ad esse arriveranno anche i tonni.

IDROZOI O “VILIDDE” PERCHè HANNO LA FORMA DI BARCHETTE A VELA

Infine, la fase finale della pesca, la mattanza, avviene oggi come ieri ed ha sempre lo stesso fascino crudele seppure liberatorio. Il mare è completamente rosso per la gran quantità del sangue. I marinai dalle due grandi barche si curvano, e tutti, armati di uncini, attendono che le vittime siano a tiro . Quattro uncini penetrano nella carne dell’animale, lo tirano fin sotto il bordo.

Non solo la tecnica, ma anche le barche della tonnara sono rimaste immutate per secoli, simili nelle denominazioni, uguali nella struttura, nelle dimensioni, nei legni impiegati, tutte coperte di nera pece finendo per costituire una flotta con caratteristiche uniche, assolutamente non sfruttabile per altri tipi di pesca.

Il vascello (l’imbarcazione principale) della tonnara di Scopello nel 1771 era lungo 75 palmi (19 metri) e largo 18 (4,5 metri).

La immutabilità della tonnara si riscontra su diversi livelli: quello epico laddove al rais – dominus assoluto chiamato a decidere della vita e della morte dei pesci (sceglie come e dove calare le reti, quando fare mattanza) e anche degli uomini (assunzione/licenziamento sono sue prerogative) – si riconoscono poteri e capacità negate agli altri uomini-pescatori; quello magico-religioso con il ricorso a rituali che si perpetuano pressoché identici in tutti i tempi e sotto ogni latitudine; quello antropologico con usanze condivise da generazioni di tonnaroti separate dai secoli; quello prettamente tecnico, confermato da comportamenti e strumenti assolutamente simili.

L’ambito nel quale emerge in maniera ancora più straordinaria la cristallizzazione dell’universo tonnara è quello che attiene al sentimento religioso dei pescatori.

Essendo la tonnara una struttura fissa estremamente complessa, saldamente ancorata al fondale, il cui apprestamento a mare richiede lunghe operazioni e molto tempo, i pescatori non possono agire radicalmente per ovviare ad una stagione sfortunata: così non è possibile salpare le reti e cambiare il sito se l’esito della pesca non è quello sperato, né si possono adescare i tonni con esche appetitose; ai tonnaroti non resta che affidarsi alla perizia del rais ed alla benevolenza dei Santi, oggi come ieri.

Al sacerdote, “in cotta e stola color violaceo” è affidato ancor oggi il compito di benedire le reti prima del loro calo. Le elargizioni ai monasteri per richiedere la benevolenza dei Santi sono state una prassi costante presso tutte le tonnare.

C’è, nella cappella settecentesca della tonnara di Bonagia, una statua lignea di Sant’Antonino che ogni mattina nella “tredicina” dedicata al Santo (1 – 13 giugno) veniva portata in processione al porto e sulla barca “bastardo” usciva in mare con i tonnaroti, per poi fare ritorno nella cappella a fine giornata. Per i tonnaroti Antonino da Padova era il santo più importante, capace di mutare le sorti della stagione in un solo giorno, e in realtà le prime due settimane di giugno spesso riservavano le sorprese più belle per i rais ed i padroni (negli ultimi anni, invece, la migrazione dei tonni in fase genetica sembra avere anticipato i tempi, e la passa più numerosa si registra alla fine di maggio).

LA PALMA E LA CROCE

Il posto riservato ai Santi nelle tonnare siciliane è la cruci (L ACROCE), un palo saldamente legato sulla intersezione dei cavi di sommo proprio sopra la bocca d’ingresso preparata per i tonni; su una tavola inchiodata a croce vengono fissate le icone dei santi protettori: Sant’Antonino, San Pietro, San Giuseppe, San Francesco di Paola, e delle Madonne che la leggenda vuole arrivate dal mare (a Bonagia: la Madonna di Trapani e quella di Custonaci).

Sulla sommità del palo inoltre i tonnaroti mettono dei rami di palma e per questo la cruci viene chiamata anche “palma”.

Le forti connotazioni religiose di questa pianta, le cui foglie adornavano i carretti e i “capioni” delle barche siciliane, vengono ignorate dai tonnaroti, che però nella “palma” sono riusciti a sintetizzare mirabilmente saperi empirici, sentimenti religiosi, conoscenza nautica e tradizioni secolari: quando non esistevano gli strumenti elettronici di navigazione (radar, Gps) la croce con i santi era l’unica emergenza visibile da lontano, su cui indirizzare la prua delle barche; se la corrente porta a fondo le reti, con esse si immerge anche il palo con la croce, e dalla porzione sommersa il rais è in grado di capire quanto violenta sia la stessa corrente; inoltre i “movimenti” della palma – graduale affioramento o affondamento – segnalano l’andamento della corrente, se in aumento o diminuzione.

Quando da soli i Santi non riescono a tenere lontani i pericoli, come nel caso della terribile tromba marina, i tonnaroti continuano ad avvalersi delle pratiche magico religiose tramandate dagli avi; un coltello “nascuto” (senza punta) non manca mai nelle tasche dei pescatori, che tenendolo ben stretto nella mano tracciano in aria i segni della croce e recitando le orazioni imparate la notte di Natale “tagliano” la traunara, che perde la sua forza e cade a mare.

I tempi sono cambiati, e qualcuno non crede più al potere assoluto delle ‘razioni, ma di fronte alla violenza della natura si comporta come facevano il padre, il nonno e tanti ancora prima di loro: “Fora malocchio e dintra bonocchio .


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