di Andrea Agrifoglio
Forse di una struttura atipica, per essere un 10, Rivaldo. Un rifinitore che sfiora il metro e novanta. Un fantasista con il fisico del centravanti. Spesso usava battere il calcio d’inizio con un colpo di tacco, segno distintivo della personalità di un campione accusato d’essere individualista. Un amore per il gesto tecnico, anche superfluo, che lo portò ad un’autentica figuraccia quando, nelle Olimpiadi del ’96, sbagliò per eccesso di confidenza un passaggio nella semifinale contro la Nigeria, che riuscì a segnare ed eliminare il Brasile. Una mossa da spaccone da parte di quel campione che raramente sorride, quasi ad ostentare una superiorità assoluta su chi lo circonda.
In estate, Rivaldo trascina la nazionale verdeoro alla conquista della sua sesta Copa America, in una selecao in cui inizia a brillare un nuovo astro, Ronaldinho. Andrà a segno ripetutamente nei quarti, in semifinale ed in finale. Negli ultimi due atti del torneo sudamericano, il suo, poi, è un autentico inno al calcio. Propizia il vantaggio contro il Messico in semifinale e porta i suoi alla sfida con l’Uruguay, con una conclusione al fulmicotone dal limite dell’area, evitando di fermarsi per un fallo subito da un compagno. In finale apre le marcature di testa e raddoppia con un tocco morbido, a tu per tu col portiere. Ma il Sudamerica gli va stretto: Rivaldo vuole tutto. Passata la kermesse continentale e ritornato a Barcellona, Rivaldo si prende qualsiasi spazio e, quasi fosse una rivincita, succede a Zidane nell’assegnazione del Pallone d’oro, alla quale si associa quella del Fifa World Player. Lo spaccone è in cima al mondo. Da solo, per suoi meriti, per la sua classe. Se sul campo, col Barcellona va a gonfie vele, è dietro la scrivania catalana che, però, Rivaldo non riesce ad ottenere quello che vuole e così andrà in scadenza di contratto e passerà al Milan, andando via da un club che nella stagione successiva vedrà il suo numero sulle spalle proprio di Ronaldinho.
Un dualismo, latente e mai competitivo, che si ripeterà poi con successo nel Mondiale nippo-coreano, quando il Brasile tornerà ad essere la squadra più forte del pianeta. Mondiale atipico, ricco di polemiche, ma con una formazione, quella verdeoro, che con un Rivaldo in stato di grazia (5 gol consecutivi, uno in meno del record assoluto nella manifestazione) metterà tutti a tacere. Tutto questo, dopo aver ancora dimostrato il suo carattere spinoso e poco incline ad una logica che non fosse quella della vittoria. Nel match con la Turchia, infatti, simula d’aver ricevuto una pallonata in viso da Unsal. Al termine di tutto ammetterà la sua colpa, la Fifa lo multerà, ma Rivaldo il suo scopo, vincere a suo modo, l’aveva ottenuto. Al Milan non andrà benissimo e lascerà i rossoneri senza concludere la seconda stagione, iniziando un perigeo calcistico che lo porterà a toccare una terra così lontana dal suo essere, l’Angola, dopo essere passato per Brasile, Grecia (Olympiakos e, per rimanere nella regola dello sgarbo, Aek Atene), ed Uzbekistan. Ad oggi, Rivaldo, a 40 anni, gioca nel Sao Caetano, anche se forse, col passare degli anni ha perso un po’ di quella sana sbruffonaggine: ha scelto di lasciare la carica di presidente del Mogi Mirim, rivale storica del Sao Caetano…