Rivoglio i gaia junior mondadori

Da Gynepraio @valeria_fiore

Ovviamente la mia professione di invidia per i bambini del 2014 ha destato due macro reazioni. La frangia freudiano-riformista vi ha individuato un desiderio di maternità travestito da infantilismo, quindi ha visto nel mio sogno di svaligiare Petit Bateau un barlume di istinto procreativo. La frangia revisionista, capitanata da mia madre, ci ha tenuto a far presente tramite i principali social network che non è vero niente: andava tutto benissimo, la mia infanzia è stata bellissima e quindi la piantassi con queste rivendicazioni -a darle manforte, un’amica rimasta vittima del loop dell’autosvezzamento-.

revisionismo storico biografico materno

Degno alleato di mia madre, un lettore che mi invita a non idealizzare il presente in quanto tutte le cosine che io desidero nei primi anni ’80 c’erano già (involontaria zappa sui piedi a mia madre: allora i libri pop-up non me li compravi apposta, eh?).

Rimane il fatto che, a me, di libri ne compravano a bizzeffe. In particolare, verso la fine delle elementari -nel 91/92- Mondadori proponeva la collana di libri più bella che si sia mai vista: I Gaia Junior. Erano dei romanzi -ma c’erano anche raccolte di racconti- le cui protagoniste erano ragazze e ragazzine. Spesso erano scritte da romanzieri famosi: ad esempio, Bianca Pitzorno* -inventrice dell’Anti Re Mida ne “L’incredibile storia di Lavinia”- e Astrid Lindgren -autrice di Pippi Calzelunghe, mia eroina del cuore subito dopo Jo March-.

Ma soprattutto, il merito di questa collana era tradurre romanzi ambientati in epoche e paesi diversi dall’Italia che stavo vivendo io. Il che, mi darà atto la frangia revisionista (mamma, mi stai leggendo?) non è cosa da poco nei primi anni ’90: in cui, concorderete tutti con me, non c’era Internet, non si guardavano 75 serie televisive in streaming e l’unica faccia dell’America veramente nota alle mie coetanee era quella di Brandon Walsh.**

Alcuni dei luoghi che voglio visitare li ho sentiti evocare lì: l’America rurale degli Appalachi (“Vivere a Sweet Creek”), l’entroterra australiano (“La scelta di Lola”). Ho imparato cos’era un loft (“Capelli Viola”), poi ci sono andata a vivere. Ho pregustato i piatti indiani ( “Sale sulla neve”), ora li preparo. Ho sentito parlare di disturbi alimentari (“Dinky Hocker è sola”), ne ho sofferto. Ho percepito l’odio per la provincia (“Solo donne in famiglia”) e ancora oggi lo sento. Ho letto di epoche spesso poco trattate a scuola, come il Medioevo (“La donna della foresta”) e l’Inquisizione (“Le sorelle della libertà”). Si parlava di cose che non conoscevo, come l’adozione, le famiglie atipiche, la separazione, le madri fredde, i padri fedifraghi, artistoidi e neohippy, gli zii molestatori. L’amicizia ad alti livelli (“Speciale Violante”), la solitudine assoluta (“Principessa Laurentina”). Ma quella che mi ha ispirato di più è stata Harriet, protagonista di “Professione? Spia”. E’ da lei che ho imparato a origliare e stalkare osservare le bizzarrie dei vicini di casa e tenere sempre in borsa un taccuino. 

Quando parlo con ragazze sconosciute (oltre a scoprire in cosa si manifesta la loro sindrome premestruale), io chiedo sempre che cosa leggevano dai piccole. E se tirano fuori i Gaia Junior, allora possiamo essere amiche.

*intervista bellissima qui

** sì, mamma, lo so che, a differenza degli altri bambini ed in netto anticipo sui tempi, sono stata a New York a 12 anni.


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