Rivolte

Da Unaltrosguardo @maurovillone

Mondi a confronto

Mi sono spostato in auto il più vicino possibile alla manifestazione, poi ho proseguito a piedi, armato di fotocamera. Un’atmosfera surreale, rumore di sirene ed elicotteri, sempre più gente, per lo più gruppi di ragazzi con maschere e bandiere nazionali che andavano e venivano. Le vetrine di alcune banche in frantumi, gli uffici devastati. Manichini in fiamme lungo la strada, rumori forti, le pale degli elicotteri, fumogeni. A un certo punto un assembramento gigantesco con bandiere, maschere, striscioni, impediva di arrivare a un grande incendio, forse un’auto in fiamme di fronte a un edificio istituzionale. I fotoreporter con le maschere antigas, blindati, bombe sonore, i cavalli della polizia imbizzarriti e fuori controllo. Canti, cori e molto entusiasmo. Forse un milione di persone per diversi giorni, a più riprese, in massicci cortei in diverse parti della città.

Cosa credevate? Stavo descrivendo una delle tante manifestazioni avvenute a Rio e in tutto il Brasile nei mesi scorsi. A Torino è andata un po’ diversamente. Un furgoncino bianco apriva la pista a un gruppo di alcune centinaia di persone, tutte contente poiché rispetto a niente erano già una moltitudine. Qualche tafferuglio, più che altro innescato dai soliti facinorosi che ha giustificato l’intervento della polizia che ci è andata giù subito abbastanza pesante. La protesta è seria, come lo sono le sue motivazioni, e in altre città del paese sta crescendo, ma tutto sommato fatica a innescarsi e coinvolge un numero abbastanza circoscritto di persone. Perché?

I motivi saranno senza dubbio molteplici ma avendo vissuto in entrambe le situazioni mi sembra interessante qualche osservazione sulle profonde differenze tra due culture. Ci potrebbero portare a riflettere su quello che è il grave impasse nel quale si trova il nostro paese. In Brasile la dittatura è finita nel 1985. Il regime militare durava dal 1964 e fu terribile, con largo uso di dura repressione e tortura. Inoltre il Sudamerica in generale è ancora una terra di frontiera, dove le difficoltà sono quotidiane, anche nelle città e la guardia va tenuta continuamente alta ancora oggi. Detto in parole molto povere in Italia ci siamo rammolliti. Gli ultimi casini seri risalgono al 1948 e poi agli anni ’60. Ci fu un rigurgito al famigerato G8 di Genova nel 2001, dove la repressione da parte delle forze dell’ordine fu esagerata e violenta spesso a danno, inoltre, di manifestanti che protestavano pacificamente. Mentre violenza e distruzione fu causata soprattutto dai facinorosi black block. Allora ero presente e ci furono momenti davvero impressionanti, per non dire paurosi, difficili da dimenticare.

Dal 1948 e poi dagli anni ’60 il popolo italiano ha vissuto mediamente nel benessere, anestetizzato da un’economia robusta che ha addirittura creato patrimoni che ora sono quelli che parano il culo ai poveri disgraziati che hanno dai 20 ai 60 anni che non hanno lavoro o guadagnano pochissimo. Se non fosse per il mazzo che si sono fatti i nostri genitori, il fatto che le famiglie italiane sono accoglienti e mammone e che ci sono case qua e là dove rifugiarsi e posti dove mangiare i manicaretti migliori del mondo saremmo ancora più nei pasticci. Benessere economico per decenni, i vestiti più fichi del mondo, le auto migliori, la musica, lo spettacolo, soprattutto la TV hanno fatto il resto. Non è possibile vivere da catodico-catatonici per decenni e poi svegliarsi e fare il mazzo a quelli che, mentre dormivamo, hanno fatto man bassa di tutto. Non si può. È così che accade che a Torino, mentre nella meravigliosa Piazza Castello sognatori, gente in serie difficoltà, disgraziati, disoccupati, intellettuali e poliziotti da 1200 euro al mese mettono in scena la “rivolta” passano signore in pelliccia, manager indaffarati e giovani e meno giovani impegnati, per quello che possono, nello shopping. Un periodo anche disgraziato per una protesta con un freddo cane e i commercianti che hanno il sacrosanto diritto di lavorare per portare a casa la pagnotta, specie sotto Natale, che vuol dire fare una significativa parte del bilancio di tutto l’anno. Nel frattempo forconi e gruppi delle più disparate provenienze alimentano la protesta da sud a nord, ma è una protesta che fatica enormemente a diventare massiccia e plenaria, coinvolgendo davvero tutto il popolo. Perché? Perché semplicemente le scorte che ci danno il colpo di coda dell’illusione del benessere non sono finite. Quando non ci saranno più derrate a marcire nei magazzini dei mercanti, semplicemente perché non ci sarà più nulla, allora sì che la sollevazione sarà plenaria, ma potrebbe anche non verificarsi mai. A differenza del Brasile, dove il boom economico in gran parte fasullo e che coinvolge solo una parte della popolazione, ha lasciato ancora troppa gente a patire se non la fame la miseria e l’abbandono. Noi abbiamo ancora tutto sommato la pancia piena e servizi indecenti, ma accettabili. In altri paesi le persone talvolta vengono proprio trattate come bestie e le ragazzine si prostituiscono per fame e non per comprare Prada.

In ultima analisi, non siamo più troppo abituati a rischiare, finché il riscaldamento funziona ancora e la maggioranza può ancora stare a casa tra le coltri ad ammirare la suggestiva e coinvolgente melma televisiva.

Aspettiamo di vedere cosa accadrà, magari riflettendo sul fatto che non tutti i mali vengono per nuocere e che la situazione attuale sia una grande opportunità per risvegliarsi e “vedere” cosa c’è intorno e dentro a noi.



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