E’ ormai dal 17 settembre che l’iniziativa OccupyWallStreet viene portata avanti negli Stati Uniti.
Il movimento di protesta contro lo strapotere di banche ed istituzioni finanziarie che ha assunto dimensioni nazionali ha utilizzato, come ormai avviene puntualmente in questi casi, social media e social network per il coordinamento e la diffusione delle informazioni sulle ragioni dell’iniziativa, che inizialmente aveva ottenuto una scarsa copertura mediatica.
Ora la “rivoluzione” è anche sulla carta con «The Occupied Wall Street Journal», pubblicazione distribuita in occasione delle manifestazioni autofinanaziata grazie alle sottoscrizioni, stampato in 50mila copie nella prima edizione alla quale si è poi aggiunta la versione in spagnolo ed una seconda edizione.
Jeff Jarvis ha recentemente definito la versione statunitense degli indignados spagnoli come una “hashtag revolt”, gli risponde indirettamente Arun Gupta, uno dei giornalisti del gruppo dell’Indypendent che è dietro alla realizzazione della pubblicazione, affermando che “Print media is still so important. Having that physical paper is much different than seeing something online. This is a real-world occupation, not a virtual one. You can’t pass the Internet from one person to another, but you can pass a newspaper.”
C’è da rifletterci.