Giovedì
Al contario di quanto accaduto al dinamico duo Russo-Trainspotting, per i fratelli Corna tutto fila liscio con i trasporti, quindi alle tre e mezza siamo già dentro per una generale supervisione prima dell’immancabile rituale di entrata che è la prima birra al Polly Maggoo. Per qualche motivo il giovedì è sempre infernale e l’abbondante offerta costringe a rinunce tutt’altro che piacevoli (oggi Eagle Twin e Monolord). Comunque sia, l’inizio è col botto: i Salem’s Pot fanno friggere gli amplificatori della Green Room, malsane vibrazioni in salsa eyes wide shut transex. Paura. Suonano un pezzo nuovo fichissimo e roba dagli svariati Ep. Subito a freddo è arrivata una delle cose migliori del festival. Il proseguo non è da meno, anzi, gli Spidergawd alzano ulteriormente l’asticella per un uno-due iniziale di quelli che in qualsiasi altro posto ti basterebbero per almeno venti giorni. Nel mondo parallelo di Tilburg invece ci sono i Russian Circles che ti attendono sul palco principale dopo cinque minuti, imbarazzante il confronto con quento visto solo la settimana prima a Roma in cui suonavano con l’amplificazione del Canta-Tu. D’altra parte, se decidi di andare a vedere un gruppo a 1200 km da casa, è anche perché sai che si sentirà un pochino meglio. Verso sera finalmente emerge da un lungo black out di telecomunicazioni la premiata ditta Ciccio & Roberto che, dopo varie peripezie, arriva allo 013 carica di libagioni provenienti dalla capitale olandese. Il giusto incentivo per apprezzare al meglio la proposta coraggiosa di Eugene Edwards alias Wovenhand. Nonostante la distanza dai suoni generalmente associati al festival, il pubblico sembra apprezzare, anche in virtù di uno show estremamente fisico ed emozionale. Si prosegue senza alcuna pietà ed è il turno del disagio con boogie a firma Eyehategod. Il finale è nel più classico stile chiusura Roadburn-primo-giorno con i claustrofobici Bongripper, gruppo da sempre molto amato da chiunque ami tagliuzzarsi le orecchie con le lamette da barba. Volume da arresto e conseguente sordità completa per tutti gli astanti. Su, a nanna, che domani arrivano i vichinghi.
Venerdì
Per una volta la giornata inizia con una certa calma, mi perdo i Virus perchè ho deciso che mi stanno sul cazzo (o forse erano i Focus?) e mi presento direttamente a vedere i Sólstafir. Dissento con quanto espresso dall’esimio collega Ciccio sulla proposta e la prestazione degli stessi, che ho invece apprezzato con un certo ardore. Mi piace proprio quello che fanno, ne ammiro in particolare il sound dilatato piuttosto inusuale per il genere, non so bene spiegarmeli, per me band di vera classe. A fine concerto il conte Max viene approcciato da una cicciona americana oversize; la tipa è parecchio su di giri e vorrebbe attaccare bottone, ma deve essere piuttosto confusa dato che ci scambia per norvegesi. Lui non è interessato e cerca di appiopparmela, io sono della teoria che il vero uomo si vede dai cessi che si riesce a fare, ma qui siamo davvero un po’ oltre, forse dopo altre dodici birre, chissà. Due chiacchiere di cortesia metallara e poi si tira dritto fino alla prossima stazione. Un po’ di giri a cazzo e poi di nuovo al main stage per i Fields Of The Nephilm che, pur non essendo proprio il genere mio, non mi lasciano certo indifferente. Dawnrazor in apertura è roba molto seria, For Her Light la gemma del set. Dopo essersi rifocillati giunge finalmente l’ora del satanismo da supermercato. La scusa per adorare il capro oggi la danno i Lucifer, gruppo basico creato per noi gente dai bassi istinti, scopiazzature sabbathiane a go-go che manco gli Orchid e una biondazza semi figa alle volte sono tutto quello che serve. Gossip: finito il set la tipa si sbaciucchia con un tizio che credo fosse Lee Dorrian, non ne sono troppo sicuro però, se qualcuno fra voi ottimi lettori lavora a Dagospia e sa qualcosa di più ci faccia sapere. La prestazione del giorno però la regalano gli Enslaved. Di black metal capisco abbastanza poco e forse non sono la persona più indicata per parlarne ma per me sono stati eccezionali, una roba tipo assurda. Vedendoli suonare hai l’impressione netta che gli antenati di questa gente fossero davvero uomini con elmi e corna in testa, non di certo pacifici artigiani dei fiordi o roba del genere. In un altro posto, in un altro tempo, questi erano tizi che sfasciavano crani a martellate per il solo gusto di farlo. Perchè prenderti a mazzate è la loro cultura. Degli Skeletonwitch a quest’ora ne ho abbastanza dopo dieci minuti e preferisco optare per Skuggsjá, uno strano mix tra metallo e musica tradizionale norvegese. A parte alcuni momenti molto spinti sui canti tradizionali in cui ho temuto potesse materializzarsi Pavarotti intonando “te vojo bene assaje” il resto mi piace parecchio, soprattutto quei mega corni mischiati al tutto ci stavano abbastanza, non male. Dopo questa overdose di Nordismo direi che anche il giorno due si può archiviare con fierezza.
Dopo giorni di tette calanti e palle flosce, finalmente fanno il loro ingresso in sauna due belle fregne dutch ruspanti. Sguardo di assenso fra me, il conte e Roberto (Ciccio rifiuta queste mollezze decadenti). Dai che mo’ scatta la gang bang. Le usanze locali impongono di non avere nulla addosso ma le due tipe stanno bardate tipo astronauti, un generale disappunto serpeggia nell’aria. Ligi alle regole solo quando pare a voi. Una bella doccia fredda per sbollentare gli spiriti e poi di nuovo sul luogo del delitto. Non sono sicuro esista una statistica del genere ma sono pronto a scommettere che il ridente Brabant sia il luogo con più negozi di scarpe da ginnastica pro-capite al mondo; vorrei approfittarne per rimpiazzare le mie vecchie All Star nere oramai al limite. Non senza qualche difficoltà riuscirò nell’intento. Neanche a dirlo, è nuovamente ora per dedicarsi al vero scopo di questo viaggio: diventare sordi. Le quattro del pomeriggio di sabato 11 aprile 2015 sono uno di quei momenti in cui farebbe davvero comodo essere uno e trino dato lo scontro in atto Goblin vs. King Dude Vs Death Penalty. “Nel dubbio, il metallo” si dice da queste parti: lascio queste sagge parole guidarmi allo show dei Death Penalty e poi, di seguito, al Patronaat per gli Acid Witch. Quest’ultimo è uno spettacolo bomba: brutalità, fracasso totale, distruzione e cialtronaggine. Da allora l’ottimo Stoned è in heavy rotation costante nelle mie cuffie. C’è voluto un po’ ma finalmente la deriva psych sta per prendere il sopravvento: i The Heads si cimentano in un lungo set all’insegna del decontrollo e un finale è di quelli che ti fanno squagliare la faccia. Simile ma più ragionato il concerto dei Mugstar che, con suoni assolutamente perfetti, suonano l’accompagnamento a un film concettuale in bianco e nero che fa tanto scuola di cinema. Io il film non lo guardo granché dato che è un po’ di tempo che mi piace stare ai concerti con gli occhi chiusi (oddio, magari non ai Kiss). Gran finale affidato ai Picturebooks che hanno tutt’altra corposità dal vivo rispetto a quello che era possibile intuire dall’album. La gambe mi cedono abbastanza, mi fiondo su uno sgabello e me li seguo da lì. Un po’ di meritato riposo che stavolta c’è pure il quarto giorno.
Domenica
La colazione oggi prevede i White Hills, set molto concentrato sull’ultimo disco Walks for Motorists che vede un parziale cambio di rotta, diverso ma fico (se ne parlerà a parte). Sul finale Dave W comincia a far colare wah wah come se non ci fosse un domani e io mi bagno tutto. Segue l’immancabile gruppo Rise Above della giornata che provvede a far volare schiaffoni, Admiral Sir comecazzosichiamano sono una cosa che devi vedere dal vivo per capire veramente, il disco per forza di cose non può rendere appieno un qualcosa che è un mix di Spinal Tap, Monty Python e furia elettrica. Rock and roll grezzo e primitivo, ‘sta roba è come la birra chiara fredda, non c’è un cazzo di meglio. Fanculo voi e le vostre birre artigianali demmerda, a me piacciono quelle che sanno di cicca di sigaretta spenta. Eccolo l’ho detto, mi sono tolto un peso. Nonostante siano vari anni che frequento il festival è il mio primo Afterburner, se possibile l’atmosfera è ancora più rilassata e raccolta e nel corso della giornata ho avuto modo di scambiare due chiacchiere con il maestro Simonetti e con la favolosa Ego dei White Hills a cui però non ho mi sono sentito di chiedere la fotina insieme (tanto che mi sono innammorato lo avrà capito lo stesso).
Al mattino il programma prevedeva che mi andassi andassi a vedere i Lo-Pan però oggi al Roadburn va in scena questo: Goblin – Live Score and Screening of Dario Argento’s Suspiria. Se a leggerlo sembra fico, vi assicuro che stare lì era venti volte meglio. Totale. No, veramente, ma quando ricapiterà mai? A fine concerto corro al merchandise perché voglio la locandina che hanno stampato per l’occasione, è bella che esaurita già dal giorno prima, bravo coglione, ogni anno gli stessi errori. Purtroppo si percepisce che ci si sta avviando verso il finale, siamo agli sgoccioli ma c’è ancora qualcosa da dare. Lo show degli Anathema è per definizione stessa a varie fasi. Si inizia con sonorità prog raffinate e un po’ ricchionazze che a me non fanno impazzire. La cosa invece evidentemente è ben gradita dai due energumeni nibelunghi davanti a me che ne approfittano per effettuare un sordido coming out ricco di lussuriose e barbute slinguazzate. Ognuno si diverte come vuole. Lo show continua e riprende decisamente slancio nella parte conclusiva che vede il cantante originale Darren White al microfono riproporre vari pezzi del repertorio old school. Ora resta solo un giretto finale con la lacrimuccia che già scende. Le date per l’edizione 2016 sono già uscite, noi ci saremo, poco ma sicuro.
Il prezzo da pagare: al ritorno lo sfasamento è completo, arrivato a casa mi ritrovo bloccato sull’uscio impossibilitato ad entrare. Dopo cinque minuti di vani tentativi, chiamo tutto il parentame mandando ‘li mejo mortacci’ a caso con l’accusa con l’aver cambiato la serratura per lasciarmi fuori di casa. In realtà avevo solo scordato la nozione elementare di quale fosse la chiave di sotto e quella di sopra. Dai, dopo quattro giorni nello spazio ci può anche stare.