Robert Jordan: La Ruota del Tempo/2

Creato il 27 febbraio 2014 da Martinaframmartino

James Oliver Rigney Jr., questo il vero nome di colui che è diventato famoso come Robert Jordan, ha iniziato a scrivere relativamente tardi, intorno ai trent’anni. Prima c’erano stati due periodi di servizio in Vietnam e una laurea in fisica. Quando gli è stato chiesto se in qualche modo la sua scrittura fosse stata influenzata dal Vietnam, Harriet McDougal, suo editor fin dal principio, ha spiegato che lui scriveva perché era stato in Vietnam.

Fra le altre cose quei due periodi gli hanno fatto capire cosa significhi avere qualcuno che stia cercando di ucciderlo. Che stia provando a uccidere lui in particolare, non una persona a caso. Gli ha fatto provare come ci si senta nell’uccidere qualcuno, come ci si senta la prima volta e come questa sensazione sia diversa da quella che si prova la quinta volta, o la decima. Queste sensazioni sono entrate nei suoi personaggi perché ciò che siamo dipende in larga misura dalle esperienze che abbiamo vissuto e da come abbiamo reagito alle esperienze stesse (8).

Se i vari Rand, Perrin e Mat esitano più volte a colpire una donna, o anche solo a lasciare che una donna si rechi in un luogo potenzialmente pericoloso, questo deriva da un’esperienza dello stesso Jordan. Durante un conflitto una donna gli ha puntato contro un AK-47. Lui non ha esitato a ucciderla, ma l’episodio lo ha segnato profondamente. Nell’educazione che ha ricevuto l’idea di far male a una donna è semplicemente inconcepibile, e nonostante questo si è trovato a doverlo fare (9). I rimorsi e i tormenti interiori dei suoi personaggi sono qualcosa che lui conosce di persona.

Non solo, l’esperienza del Vietnam gli ha insegnato a non arrendersi mai, e che le cose apparentemente impossibili a volte accadono.

James Rigney era artigliere su un elicottero. In un’occasione l’elicottero su cui si trovava è stato abbattuto ma, nonostante una camminata di 40 chilometri nella giungla, tutti coloro che erano a bordo sono riusciti a ritornare alla base sani e salvi (10). In un’altra occasione (11) è riuscito a colpire un’RPG (granata a propulsione) solo qualche istante prima che colpisse l’elicottero su cui si trovava lui. Il razzo era così vicino che i suoi frammenti hanno effettivamene colpito l’elicottero.

Robert Jordan ha spiegato di essere riuscito a centrare il bersaglio — piccolo e dal movimento molto rapido — grazie a una combinazione di abilità e fortuna. Quando il colpo nemico è partito lui stava guardando nella direzione giusta e la sua arma era quasi perfettamente puntata, perciò ha dovuto fare solo un piccolo movimento del polso per aggiustare il tiro. Secondo ogni logica lui e gli altri membri dell’equipaggio avrebbero dovuto morire, ma quando da un lato c’è la morte certa e dall’altro una sola possibilità di sopravvivere contro qualche milione di possibilità negative, l’unica cosa che una persona può fare è fare un tentativo. Lui lo ha fatto e si è guadagnato il soprannome di Ganesh, dal nome del dio dalla testa di elefante della religione induista noto come colui che rimuove gli ostacoli. Fra gli altri significati legati a Ganesh ci sono anche quelli di autorità, saggezza e di porsi come protettore della volontà e dell’intimità delle donne. Tutti significati in qualche modo associabili anche a James Rigney, anche se forse i suoi commilitoni si erano limitati al primo aspetto.

Non è stata, però, solo questione di fortuna o del desiderio di non arrendersi fino all’ultimo istante. Rigney ha fatto quel che ha fatto, ha visto la granata e l’ha colpita, perché era in Zona. Quando si è in Zona è semplicemente impossibile fare errori, come un atleta che compie un gesto perfetto. Non sempre è possibile essere in Zona, ma quando lo si è tutto è perfetto. La vista migliora. I movimenti si accelerano. È come se tutto cio che c’è intorno rallenta, e la persona in Zona ha il tempo necessario per fare ciò che desidera.

Quando vediamo Rand cercare il Vuoto, sentiamo Lanfear parlare dell’Unicità o ammiriamo Lan compiere movimenti perfetti, dietro di loro non c’è solo la filosofia Zen che Jordan ben conosceva. C’è anche la sua diretta esperienza. “«Ci si arrende solo dopo la morte»” (12) spiega Lan in Nuova primavera. James Rigney ha percorso 40 chilometri di giungla infestata dai Viet Cong e ha distrutto un razzo che stava per ucciderlo perché non si è arreso. Quando i personaggi di Robert Jordan rifiutano di arrendersi, alle spalle dello scrittore c’è un uomo che ha provato sulla propria pelle cosa significhi non arrendersi. E se a volte Mat ha una fortuna sfacciata, è bene ricordare che anche gli eventi più improbabili si possono verificare.

Come ha affermato David Drake (13) Jordan scriveva di cose che conosceva perché le aveva vissute.

 

A volte la sua conoscenza era legata a oggetti materiali come le armi. Robert possedeva centinaia di armi. Spade, lance, pugnali, asce… tutti oggetti che aveva davvero impugnato e con i quali aveva provato dei colpi a vuoto per cercare di capire cosa significhi davvero impugnare quelle armi in battaglia (14). Le armi della Ruota del Tempo sono reali, come reale è il modo in cui sono utilizzate. O, cambiando completamente argomento, era anche un esperto di danza. Se nell’Ascesa dell’Ombra Faile decanta la sa’sara, sminuendo al confronto la tiganza che nell’Occhio del Mondo aveva avuto un effetto molto forte su Perrin, è perché James Rigney ha anche scritto recensioni di danza e teatro con il nome di Chang Lung.

Quello di Ganesh, però, non è stato l’unico soprannome guadagnato dal giovane Rigney. Basandosi sulla sua freddezza in combattimento un commilitone lo aveva soprannominato The Iceman, ispirandosi all’opera di Eugene O’Neill Arriva l’uomo del ghiaccio. E Icemen altri non è che la morte.

Come ha spiegato lo scrittore molti anni dopo, per sopravvivere si era dovuto abituare a sparare nel momento in cui percepiva un movimento e a non pensare ai suoi avversari come a delle persone (15). Per molto tempo ha conservato la foto di un giovane soldato seduto su un ceppo impegnato a mangiare la sua dose di razione C (16). Giusto alle sue spalle c’erano i cadaveri di tre soltati dell’Esercito Popolare Vietnamita. Il giovane non si era seduto lì a causa dei corpi, non era neppure stato lui a uccidere quegli uomini. Aveva scelto quel posto perché era il più comodo, e i cadaveri non lo infastidivano. Erano solo un elemento del paesaggio. Il soldato aveva incrociato lo sguardo del fotografo, e bastava un semplice sguardo per far dire a chiunque che non lo avrebbe mai invitato a casa per fargli conoscere la sua famiglia. Nessuno avrebbe voluto averlo vicino perché era freddo, freddo, freddo. Quello era una persona capace di uscire viva dal Vietnam, ma che non avrebbe mai potuto sopravvivere in un contesto civile. Prima tornare a casa James ha ucciso quel bastardo e lo ha sotterrato a faccia in giù dalle parti di Saigon scegliendo di riportare indietro solo Ganesh, il Rimuovitore di ostacoli.

La copertina dell’ebook di Crocevia del crepuscolo

Diventa molto più facile, allora, capire tutto il percorso compiuto da Rand. Il suo indurirsi, il non lasciarsi toccare dalle emozioni, la volontà di vedere nelle persone solo delle armi. In un’occasione (17) ho personalmente chiesto a Robert Jordan se i suoi personaggi non avessero la vita troppo facile visto che fino al punto in cui ero arrivata io all’epoca non era ancora morto nessuno di importante. Lui ha risposto spiegandomi che non riteneva fosse necessario uccidere un certo numero di personaggi a libro per avere una storia drammatica. Mi ha anche chiesto se secondo me i suoi personaggi erano felici, e se erano soddisfatti della direzione presa dalla loro vita.

Il cammino affrontato dai suoi protagonisti, di alcuni in particolare, è per molti versi simile a quello affrontato da lui stesso molti anni prima nel Vietnam, e per tantissime pagine non c’è modo di sapere se riusciranno a seppellire la parte più oscura di loro per tornare a vedere la bellezza della vita. In Presagi di tempesta in particolare uno di loro presenta chiaramente un disturbo post traumatico da stress simile a quello che ha afflitto molti veterani del Vietnam (18). Quanto al confronto finale in Memoria di luce, anche se le parole sono state messe su carta principalmente da Brandon Sanderson le idee sviluppate da Jordan sono grandiose e portano a un compimento perfetto tutto quanto narrato nei volumi precedenti.

Ci sono dettagli sviluppati poco rispetto a quanto il lettore si sarebbe potuto aspettare, cose che Sanderson non poteva sapere, ma Memoria di luce dona un senso di circolarità e di compimento perfetto. Al di là di tutte le piccole imperfezioni la storia si erge nella sua monumentalità per diventare qualcosa di più di una semplice serie di avventure, se mai lo era stata. E a volte ci sono cose peggiori della morte.

Lui l’ha vista in faccia, l’ha affrontata ripetutamente, in guerra e nella sua vita di scrittore. La morte, ha scritto, è una fine naturale e inevitabile, e lui è stato capace di venire a patti con la sua mortalità (19).

Nello Shienar, una delle Marche di Confine che hanno costantemente problemi con trolloc e altre creature dell’Ombra, un detto molto comune è “La morte è più leggera di una piuma, il dovere più pesante di una montagna” (20). Per quanto la morte possa essere drammatica, ci sono cose ben peggiori, davanti alle quali non ci si può tirare indietro anche se per le proprie decisioni si rischia di pagare un prezzo molto alto.

E che bisogna combattere fino all’ultimo respiro è ribadito ripetutamente dagli Aiel, con il loro giuramento di combattere l’Ombra fino alla scomparsa di ombra e acqua, fino all’ultimo respiro durante l’ultimo giorno (21).

Per la conclusione dell’articolo vi rimando a domani.

Note:

8) http://www.bridlingtonfreepress.co.uk/lifestyle/a-chat-with-the-creator-1-1706972.

9) http://wot.wikia.com/wiki/Source:Fast_Forward_%28Public_Access_TV_in_N.VA%29,_1_November_1994.

10) http://www.strangehorizons.com/2009/20091102/jozefowicz-a.shtml.

11) http://www.dragonmount.com/forums/blog/4/entry-374-steady-as-she-goes/ e http://www.dragonmount.com/forums/blog/4/entry-375-hi-there/.

12) Robert Jordan, New Spring, 2004, trad.it. Nuova Primavera, Fanucci Editore, Roma, 2005, pag. 342. La stessa idea viene ripetuta alla fine della saga in Robert Jordan e Brandon Sanderson, A Memory of Light, 2013, trad.it. Memoria di luce, Fanucci editore, Roma, 2013, pag. 949.

13) David Drake, anche lui un veterano del Vietnam, con oltre un centinaio di opere è diventato negli Stati Uniti uno dei principali autori di fantascienza militare. L’8 aprile del 2008 ha tenuto un discorso commemorativo di James Oliver Rigney Jr. presso la Citadel Academy di Charleston. Un riassunto della cerimonia si può trovare qui: http://www.dragonmount.com/forums/blog/4/entry-390-robert-jordans-citadel-memorial-dedication/.

14) http://www.dragonmount.com/forums/blog/4/entry-392-blades/.

15) http://www.theoryland.com/intvmain.php?i=733#2.

16) http://www.dragonmount.com/forums/blog/4/entry-375-hi-there/.

17) L’incontro si è tenuto il 7 maggio 2004 presso il Monddori Multicenter di via Marghera 28 a Milano.

Robert Jordan con al fianco la moglie Harriet. Alle loro spalle ci sono io.

18) http://ofblog.blogspot.com/2009/10/robert-jordan-and-brandon-sanderson.html.

19) http://www.dragonmount.com/forums/blog/4/entry-361-a-little-this-a-little-that-nothing-important/.

20) La frase, che compare ripetutamente nella Ruota del Tempo, non è un’invenzione di Jordan. Deriva invece da First Precept of the Imperial Rescript to Soldiers and Sailors, un testo giapponese del 1883, ed era molto popolare fra le truppe suicide della Seconda Guerra Mondiale: http://www.steelypips.org/wotfaq/3_sources/3.08_asian.html. Nella Ruota del Tempo si trova in Robert Jordan, The Great Hunt, 1990, trad.it. La grande caccia, Fanucci Editore, Roma, pag. 736 e pag. 749; Robert Jordan, The Dragon Reborn, 1991, trad.it. Il Drago rinato, Fanucci Editore, Roma, 2003, pag. 54; Robert Jordan, The Shadow Rising, 1993, trad.it. L’ascesa dell’Ombra, Fanucci Editore, Roma, 2004, pag. 437; Robert Jordan, Lord of Chaos, 1994, trad.it. Il Signore del Caos, Fanucci Editore, Roma, 2005, pag. 306 e 518; Robert Jordan, Knife of Dreams, 2005, trad.it. La lama dei sogni, Fanucci Editore, Roma, pag. 536, Robert Jordan e Brandon Sanderson, Memoria di luce, op.cit., pag. 270 e pag. 1028.

21) Robert Jordan, The Eye of the World, 1990, trad.it. L’Occhio del Mondo, Fanucci Editore, Roma, 2002, pag. 559; Robert Jordan, La grande caccia, op.cit., pag. 212 e pag. 353; Robert Jordan, The Fires of Heaven, trad.it. I fuochi del cielo, Fanucci Editore, Roma, 2004, pag. 86.



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