Si tratta di un testo che – nello spirito di Pierre Hadot ma, ancor prima, di Nicola Abbagnano – rifiuta di studiare la filosofia come un succedersi di «dottrine» o di «momenti ideali», preferendo interpretarla come esperienza di «uomini solidalmente legati dalla comune ricerca» in un rapporto «di libera interdipendenza». Il confronto con i classici della modernità serve, qui, a qualcosa di più serio di produrre dottrine e costruire carriere: «misurarsi – al cospetto di regimi democratici in cui domina la silente prepotenza degli apparati o l’accattivante chiacchiera del demagogo di turno – col problema del rapporto tra parola, verità e democrazia».