- il criterio tariffario sia trasparente, certo e predeterminato;
- la tariffa remuneri il capitale investito e garantisca altresì una remunerazione efficiente dei costi di gestione, tra i quali ricadono ovviamente anche gli oneri fiscali, coperti attraverso una maggiorazione del tasso di remunerazione del capitale investito – cosiddetto WACC pre-tax – che tiene conto dell'effetto complessivo dell'aliquota fiscale pagata sull'utile ante imposte.
Tutto ciò trova fondamento (oltre che nella ragionevolezza ... dal momento che se si vuol far fare un investimento a qualcuno gli si deve dare la prospettiva di un rendimento) anche nella legislazione comunitaria laddove la direttiva 2009/72 stabilisce che le tariffe di accesso alla rete devono essere cost-reflective (articolo 37.comma 6).
In un simile contesto, dunque, appare evidente che qualsivoglia "erosione" dei margini cosi garantiti dalla tariffa viola, prima ancora che la relativa disposizione legislativa di riferimento, la logica e la finalità della tariffa stessa, determinando una inevitabile contrazione degli investimenti sia in nuova infrastruttura che in ammodernamento e manutenzione di quella esistente.
Risulta quindi chiaro il corto circuito in atto e pertanto appare di difficile sostenibilità, a fronte di eventuali ricorsi da parte degli operatori (anche in sede europea), il divieto di traslazione sui clienti finali, che nelle intenzioni del legislatore precluderebbe all’Autorità di ri-determinare le tariffe in modo tale da riconoscere alle imprese le imposte pagate allo Stato: il rischio reale e' quindi quello di defatiganti contenziosi.
Volgendo infine l'attenzione sui termini economici della misura, ossia sull’impatto della nuova Robin Tax per il bilancio dello Stato, si evidenzia quanto segue:
- gli introiti attesi paiono del tutto sottostimati;
- è assente una valutazione degli effetti sui titoli e sul bilancio statale, essendo alcune delle società coinvolte (Enel, Eni, Snam, Terna) quotate e con partecipazione statale (perdita di capitalizzazione per il Ministero delle Economie e Finanze al primo giorno di riapertura delle borse, come riportato dalla stampa, pari a circa 1,6 mld, superiore al gettito annuo atteso dall’imposta).
- è assente, altresì, una valutazione dell’impatto sulla dividend policy delle società partecipate, che ridurrà notevolmente il vantaggio derivante alle casse pubbliche dal prelievo previsto dal decreto legge.
In conclusione, anche in una situazione drammatica come l’attuale, il fine di recuperare in tempi brevi e certi (dopo aver per anni colpevolmente sottovalutato i rischi della congiuntura) non può giustificare l'adozione di misure approssimative e pasticciate, che prefigurano rilevanti "rotture" di equilibri tra i poteri, pesanti contenziosi con il conseguente carico di incertezze, benefici economici inferiori a quelli che verrebbero apportati da un corretto sviluppo economico-finaziario del settore energia, esponendoci ulteriormente al rischio dell'abbandono del nostro Paese, sempre più inquadrato come affetto da un rapido e crescente rischio normativo-regolatorio. da parte degli investitori nazionali ed internazionali.
Federico Testa è Ordinario di Economia delle Imprese, Università di Verona, e componente Commissione Attività Produttive, Camera dei Deputati
Claudio Di Mario è Ingegnere e Partner Cattaneo Zanetto & Co S.p.A