Robotica Umanoide – Automata 1 di 2 (parte IV)

Creato il 08 marzo 2013 da Elgraeco @HellGraeco

Il Turco

E siamo giunti alla quarta puntata dedicata alla Robotica Umanoide. Facciamo un salto indietro nel tempo, al secolo dei lumi e forse anche più in là, ché il mito del Costruito, nelle varie sfaccettature della tradizione ebraica, col golem, greca, con Pigmalione, ha origini antichissime, e allude al potere più grande dell’uomo, che nella sua azione, essendo immagine e somiglianza del divino, imita quest’ultimo, tentando l’impresa più grande: la Creazione.
Creare un essere immagine e somiglianza dell’uomo, così come quest’ultimo discende da Dio, creato a sua volta con medesima intenzione.
Grande impulso ebbe la creazione di Automata, specie nel ’700, il secolo dei Lumi, quando la fiducia nella tecnica e la riscoperta della Ragione, contro l’oscurantismo superstizioso dei secoli precedenti, spinsero ad applicare la meccanica per la creazione di meraviglie, macchine che riproducevano azioni specifiche: la scrittura di un testo, la composizione artistica figurativa, l’abilità di suonare strumenti.
Nulla che andasse troppo lontano da quell’arte estremamente precisa cui sovrintende l’orologiaio. Il segreto degli automata (singolare: automaton), laddove non ci fossero trucchi, come nel Turco (il robot che giocava a scacchi, che esamineremo nel prossimo capitolo), era nell’armonia di meccanismi composti da leve e ruote dentate che, azionati da semplici chiavi, originavano spettacoli indimenticabili negli occhi degli spettatori.
Perché, come sempre accade, a fare la differenza è l’inganno volontario di chi guarda, e la forma, la sembianza, che induce timori nell’animo umano. Già abbiamo visto infatti che, nella tradizione popolare, esiste la paura atavica del Doppio, creatura mitologica che imita la nostra esistenza per fini maligni.
Provate a immaginare l’impatto che alcuni degli automata che seguono potevano avere su un pubblico che, benché vantasse l’appartenzenza a un secolo colto, aveva come retaggio un mondo fatto di buie foreste abitate da demoni ingannatori, diavoli e orrendi castighi.
Singolare poi notare che, a parte la differenza dei materiali a disposizione, oggi il silicio, anticamente il ferro, il risultato ottenuto dagli automata sette-ottocenteschi non è dissimile dalle azioni “prodigiose” che oggi vengono compiute dai moderni robot. Si tratta solo di una diversa “programmazione”. I moderni androidi, per la maggior parte, non fanno molto di più che riprodurre azioni umane che non capiscono, perché, esattamente come questi pupazzi, non hanno alcuna coscienza.

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Joueuse de Tympanon

Automaton, o forse sarebbe meglio dire androide, costruito intorno al 1770 da Pierre Kintzing e David Roentgen, presentato come dono alla Regina Maria Antonietta. Misura circa 45 cm d’altezza, ed è in grado di suonare 8 differenti melodie muovendo dei martelletti di peltro, e di ruotare il capo mentre si esibisce. Danneggiato durante la Rivoluzione francese, forse perché incredibilmente somigliante alla regina stessa (si dice fosse addirittura vestito come Sua Maestà), o perché a dir poco inquietante, fu restaurato da Robert Houdin nel 1864.
È dotato di un meccanismo a corda, nel senso che viene azionato dall’inserimento di una chiave che dà la carica all’automazione.

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L’Automaton di Henri Maillardet

Risalente al 1805, vetito come un giullare, è in grado di comporre quattro differenti disegni e tre poesie, sia in inglese che in francese. La storia di questo automa s’è persa nel tempo, ha viaggiato, passando di mano in mano per tutto il diciannovesimo secolo, fino a quando è stato acquistato dal Philadelphia’s Franklin Institute, in pessime condizioni. È stato lo stesso automa a risolvere il mistero della sua creazione: una volta restaurato e riavviato, ha posto la firma su uno dei suoi “componimenti”, in questi termini: “written by the automaton of Maillardet”. Un modo senza dubbio eccentrico, e un filino inquietante di firmare la propria opera, e salvarla dalla dimenticanza.

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Il Monaco

Acquisito nel 1977 dallo Smithsonian Institute, è un piccolo automa di legno vestito come un monaco medievale, che impugna un rosario e un crocifisso, apre la bocca e deambula.
Probabilmente fu creato intorno alla metà del ’500 in Germania o in Spagna. Esiste tuttavia un’ulteriore ipotesi, non si sa quanto realmente suffragata da prove, che sia la Spagna, il suo luogo d’origine: il Monaco fu costruito su ordine dello stesso Filippo II, in seguito a un “miracolo”.
Il figlio gravemente ammalato de Re guarì dopo che fu deposto nel letto, accanto al moribondo, il corpo mummificato di un monaco morto cent’anni prima, che si diceva essere un sant’uomo.
Il padre dell’erede al trono commissionò la creazione di questo automa che ricordasse in qualche modo il corpo miracoloso di quel monaco e il lieto evento.
Il robot, infatti, attraverso i suoi movimenti (tutti molto inquietanti), avrebbe, oltre alla funzione di simbolo e memento dell’episodio, anche lo scopo di “indurre alla preghiera e alla devozione”. Certo, come no…

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La Tigre di Tipu

Tipu era Re del Mysore (India), un fiero oppositore degli inglesi. Secondo la tradizione, il Re restò talmente affascinato dalla storia di Munro, il figlio di un generale inglese sbranato da una tigre durante una battuta di caccia, da vedere nell’episodio un segnale della benevolenza divina, il favore degli dei verso il popolo indiano che presto sarebbe stato libero dagli invasori stranieri (e dalla Compagnia delle Indie). Per commemorare l’accaduto ordinò la costruzione della cosiddetta Tigre, che altro non è che un complesso automaton musicale, alquanto grottesco, perché raffigura un grosso felino nell’atto di divorare una giubba rossa inglese. Sembra che la tigre ruggisca davvero, il soldato si copra la bocca con la mano, mentre sul fianco dell’animale, aprendo un apposito scomparto, è possibile accedere allo strumento musicale vero e proprio, un organo, ancora oggi funzionante; così, per sugellare con la musica sublime, il sangue versato del nemico… ^^’

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Lo Scrittore, il Disegnatore e il Musicista

Verso la fine del XVIII secolo, l’orologiaio svizzero Pierre Jaquet-Droz costrui questi tre automata raffiguranti bambini, ancora oggi considerati vere e proprie meraviglie della tecnica (nonché causa di fortissimi incubi in coloro che li osservano più del dovuto XD).

Uno dei disegni del Disegnatore

Anche questi azionati a corda, il Disegnatore è in grado di tracciare quattro differenti disegni, il Musicista suona un piccolo organo muovendo davvero le dita e pigiando i tasti, e lo Scrittore è in grado, dopo aver intinto il pennino nell’inchiostro, di vergare qualunque testo compreso in 40 caratteri. Dico qualunque perché, composto da seimila (!) parti mobili, lo Scrittore può essere “programmato”, ovvero il testo risultante è deciso, di volta in volta, da chi lo aziona e impostato nella macchina perché sia scritto; unico limite, abbiamo detto, la lunghezza.

(continua…)

Link utili:

Parte I
Parte II
Parte III

Fonti:

Cracked
Dark Roasted Blend


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