Fu sul finire degli anni sessanta, quando il rock assunse una forte connotazione contestataria, che i rapporti col cinema si fecero più strutturati e diversificati. Sostanzialmente, si svilupparono tre filoni destinati ad essere abbondantemente frequentati dai cineasti, nei decenni successivi. In primo luogo, il documentario legato ad eventi particolari, come Woodstock – Tre giorni di pace, amore e musica di Michael Wadleigh e One plus one di Godard del 1968, in cui le registrazioni di Sympathy for the devil dei Rolling Stones venivano immerse nell’atmosfera del Maggio parigino. Un secondo filone è rappresentato dall’utilizzo del rock come colonna sonora di film incentrati su tematiche giovanili e rivoluzionarie (Easy rider di Dennis Hopper, con Peter Fonda e Jack Nicholson, 1969; Quadrophenia di Frank Roddam del 1979, con Sting tra i protagonisti, tratto dall’omonimo album del 1973 dei The Who). La stessa band capitanata da Pete Townshend fu artefice di uno degli esperimenti più riusciti del terzo filone, quello dell’Opera rock, teatro musicale sulla falsariga scenica del melodramma e del musical, ma con arrangiamenti e orchestrazioni in stile rock: Tommy, concept-album del 1969, traslato cinematograficamente da Ken Russel nel 1975, con protagonisti gli stessi Roger Daltrey e Keith Moon e popstar del calibro di Elton John, Tina Turner, Eric Clapton, oltre a un già affermato Jack Nicholson. Pensati originariamente per il teatro e profondamente legati alla stagione del flower power, due film come Hair! di Ragni, Rado e Macdermot, debuttante off-Broadway già nel 1967 e trasposto al cinema da Milos Forman nel 1979, e Jesus Christ Superstar di Lloyd Webber e Tim Rice, inciso come doppio album nel 1970, debuttante a Broadway nel 1971 e portato in pellicola da Norman Jewison nel 1973. In pieno decadentismo glam, slegati dalle tematiche della contestazione, Il fantasma del palcoscenico di Brian de Palma del 1974 e The rocky horror picture show di Jim Sharman; un recente epigono del 2004 è stato Il fantasma dell’opera di Joel Schumacher, trasposizione dell’omonimo musical di Loyd Webber del 1986.
Oltre ai The Who, anche i Pink Floyd hanno intessuto rapporti privilegiati con il cinema, a cominciare dalla colonna sonora di Zabriskie Point di Antonioni del 1970, nella quale ci fu l’intervento anche di Jerry Garcia dei Grateful dead; dal canto suo, Antonioni in Blow up del 1966 aveva già immortalato la cultura rock con la celebre devastante esibizione degli Yardbirds di Beck e Page. Tra spettacolo naturale, beni archeologici e documentarismo, da ricordare Pink Floyd a Pompei diretto da Adrian Maben nel 1972, mentre il distopico e autobiografico The Wall di Alan Parker del 1982, su soggetto di Roger Waters, dall’omonimo album del 1979, appare come un’opera-rock in versione cameristica e dalla forte connotazione contestataria. Per quanto riguarda il filone del documentarismo, da ricordare The song remains the same di Clifton e Massot del 1976, trasposizione dell’omonimo doppio live dei Led Zeppelin del 1973, con inserti di animazione fantasy; il lavoro di Don Alan Pennebaker (Don’t look back del 1967, sulla tourné inglese di Dylan; Monterey pop del 1968, sull’omonimo festival; Ziggy Stardust and the Spider from Mars del 1982, sul concerto londinese di Bowie del 1973); The last waltz, testimonianza di Martin Scorsese sull’ultimo concerto del gruppo The Band di Robbie Robertson, con la partecipazione, tra gli altri, di Dylan, Clapton, Joni Mitchell, Neil Young, Van Morrison e Ronnie Wood; Stop making sense di Jonathan Demme del 1984 , sui concerti hollywoodiani dei Talking Heads.
Sconfinato l’utilizzo del rock come colonna sonora; necessario ricordare almeno Pat Garret e Billy the kid di Peckinpah del 1973, con Dylan attore e autore delle musiche e Apocalypse now di Coppola del 1979, con il memorabile utilizzo di The end dei Doors all’inizio e alla fine del film. Tramontata l’età d’oro del rock, con la perdita delle connotazioni generazionali e contestatarie e la commercializzazione trasversale e massificata, si sono fatti strada due filoni revivalistici: le operazioni nostalgia come American Graffiti di Lucas del 1973, caratterizzato da un gusto antropologico e sociologico, e The Blues Brothers di John Landis del 1980, con la comicità demenziale di Belushi e Aykroyd e la partecipazione del Gotha della musica afro-americana (Ray Charles, Little Richard, James Brown, Cab Calloway e Aretha Franklin); la biografia dei protagonisti dell’epopea rock, da Great balls on fire di Jim Mcbride del 1989 su Jerry Lee Lewis a The Doors di Oliver Stone del 1991, fino ai più recenti film sugli esordi di Lennon, su Hendrix e su Tim e Jeff Buckley.