You’re the queen of my heart
Please don’t deceive me when I hurt you
Just ain’t the way it seems
Love Buzz – Nirvana
Sarebbe stato vintage dire “lo stereo gracchiava” ma in realtà si trattava solo di un mp3 che girava in loop da un’ora e mezza sul portatile. E’ incredibile quanto sia spoetizzante, per certi versi, la modernità. Angi era stesa sul divano dalla rassicurante copertura zebrata e fissava la parete completamente bianca – ed anche un po’ triste – che aveva al suo fianco. “Che tristezza. Ci vorrebbe un poster” mormorò a voce bassa. “Non sei un po’ troppo grande per questo genere di cose?” le domandò Dario, che era seduto sul pavimento e stava strimpellando la sua chitarra acustica.
“Perché, ti sembro vecchia?” chiese lei stizzita, lanciandogli un’occhiataccia. Erano le tre di notte e la stanchezza iniziava a farsi sentire. “Ma no, dai. E’ che è hai fin troppi poster appesi qui, sembra di stare nel cesso del fu CBGB e non in un appartamento. Potresti fare qualcosa di più serio, per esempio” replicò lui, tra il serio ed il faceto “come scriverci una bella frase in neretto, magari una cosa filosofeggiante o appenderci un poster di Ingmar Bergman” e le sorrise, bonario, continuando poi a strimpellare lo strumento. Lei sospirò, fissando ancora la parete. Allungò le gambe dinnanzi a sè, facendo una piccola smorfia. Si sentiva indolenzita.
“Mi manca tantissimo” mormorò poi, socchiudendo le palpebre. Non si era struccata ed aveva ancora le ciglia ingessate di mascara e gli occhi bistrati di nero, in un mood molto dark. “E tu diglielo” ribattè Dario, senza sollevare lo sguardo dalla chitarra. Iniziò piano a stringere i bischeri, che poi sono, in termini tecnici, le chiavi cui si stringono le corde per accordare gli strumenti a corda. “Lo sai che ha detto che non siamo compatibili?” a quella domanda, che suonava più come un’affermazione, Angi fece seguire una smorfietta di dolore. “Me lo hai detto cento volte. Però non capisco, se ti manca, potresti sempre dirglielo. Mica è una minaccia di morte”. Le fece ancora lui, alzandosi dal pavimento. “Fammi spazio” le disse, facendo poi per sedersi sulla sponda del divano, vicino a lei.
Allungò una mano verso i capelli biondi e appena mossi della ragazza, un po’ arruffati. “Che cosa ti turba? L’idea di doverlo dimenticare?” chiese. Lei succhise le palpebre, guardandolo “l’idea di aver commesso un errore. Un altro errore” disse, sospirando flebilmente. Dario mise da parte la chitarra, poggiandola contro il divano. Si abbassò sulla ragazza e le baciò la fronte, in modo dolcissimo, come se fosse un padre o un fratello. In effetti, lui ed Angi erano sempre stati un po’ come fratelli. Si somigliavano, in un certo senso, avevano entrambi una certa inquietudine negli occhi e la stessa passione per la musica. “Non devi fare così, non devi” le sussurrò piano. Una sola lacrima le rigò la gota pallida, mentre lui parlava. “Piangi. Le lacrime sono speciali, tesoro mio. Fanno crescere i fiori, sai? E poi fanno venire l’arcobaleno. Vieni qui, piangi sul mio petto.”