Rohmer e le stagioni. 4. Racconto d'inverno

Creato il 13 luglio 2011 da Spaceoddity

Infine s'innalza la marea e i due amanti fuggono via per non rimanere al freddo di una notte inattesa. Ma Racconto d'inverno (1992), che chiude questa mia retrospettiva sui racconti delle stagioni di Eric Rohmer, non guarda a quei due giovani che in fretta lasciano dietro le loro spalle un'estate d'amore. Il regista francese guarda qui a diversi inverni dopo, quando le disillusioni si sono già avvicendate alle speranze, alle repentine decisioni, ai ripensamenti, agli amori che si susseguono.
Paradigma di "diseducazione sentimentale", più delle altre storie già discusse di Rohmer, Racconto d'inverno mi ha fatto soffrire in modo particolare per l'articolata e sbalorditiva inconcludenza della sua protagonista, Félicie (l'incantevoleCharlotte Véry). Per certi aspetti, la sua situazione è simmetrica a quella del bellissimo Gaspard nel successivoRacconto d'estate: un uomo lì, una donna qui, in entrambi i casi tre pretendenti. In quel caso, un turbinio tutto maschile di desideri in contemporanea, una passione che non sa definirsi nell'eternità, in questo un susseguirsi di sentimenti incerti che si cancellano l'un l'altro nel vano, disperato tentativo di farsi storia. Félicie insegue l'amore estivo della sua vita, l'aitante Charles (Frédéric van den Driessche); ma, in seguito a una prova spericolata di giocoleria sentimentale, instaura un rapporto anche con il sofisticato Loic (Hervé Furic), salvo poi lasciarlo per Maxence (Michel Voletti) e in seguito rinunciare anche a quest'ultimo.
Félicie non riesce ad amare abbastanza: non tanto colta da essere ormai insensibile alle ragioni non scritte da qualche parte, ma non così spregiudicata da ascoltare queste ragioni, la donna sa discutere molto meglio del suo omologo Gaspard e stupisce per la profondità con cui affronta tutto tranne che la decisione. Félicie vive come se non fosse importante decidere, come se non fosse una necessità esistenziale. Più volte, come prevedibile prologo della fine, la ragazza "prende una decisione": decisioni che ritratta e mette in discussione con un'inconcepibile catena di discorsi e di alibi... (Si dedice perché bisogna decidere, e poi Quando si sceglie non si sa, se no che scelta è, oppure il più elaborato e complesso Non ci sono buone o cattive scelte, l'importante è che non sia sempre obbligatorio scegliere).
C'è molto più dell'empatia nei suoi amanti (e, in parte, in lei) nel mio stupore. Félicie squaderna l'essenza stessa della scelta e della rinuncia. Film infarcito dell'importanza della cultura letteraria e religiosa, Racconto d'inverno mostra tuttavia l'insufficienza di unapaideia di fronte alla vita stessa: ignorante, ma non inadatta, atea, ma non insensibile a una dimensione sovraumana, Félicie a conti fatti non è mai impreparata e finisce con il dominare i suoi interlocutori a furia di dilazioni e un'analisi chirurgica viscerale del suo penoso stato emotivo.
Chi avesse in mente un'allusione di Rohmer alla commedia omonima di Shakespeare, non sbaglierebbe di molto: Félicie e Loic, a un certo punto, si trovano a teatro ad assistere alla scena conclusiva, dove magia e sentimenti forti si incontrano per dar vita a un vero miracolo (l'animazione della "statua" di Ermione). Ma l'opera del bardo inglese non è uno specchio di questo Racconto d'inverno, bensì una tappa attraverso la quale le anime di questi personaggi devono passare, come una precisa reincarnazione, un mantra subito smentito. Vari spiriti si impossessano della vita di Félicie e la donna risulta incapace di scegliere quella che la completa e anzi rinuncia all'idea stessa di completezza: un'anima non si risolve in una sola vita, una vita non si risolve nella scelta di un'anima. Rohmer focalizza questo atteggiamento, quando attribuisce alla bellissima Elise (Ava Loraschi), una domanda fulminante per l'irrequieta madre: Che cosa vuol dire "in fondo"? Ovvero: quanto lontano bisogna andare prima di trovare un motivo, una ragione, ovvero una ragion d'essere?
Dramma filosofico, molto più del Racconto di primavera (che aveva per protagonista un'insegnante di filosofia e, in un dibattito esistenziale, il campo di schermaglie affettive), Racconto d'invernonon prende una piega-guida, non si vincola a una soluzione. Favola moderna, sbaraglia l'importanza di qualsiasi happy end: pare difficile che questi personaggi tormentati possano vivere, prima o poi, felici e contenti. Che possano sopravvivere al loro passaggio. La stessa Dora (cammeo della rohmeriana doc Marie Rivière) o la madre di Félicie (Christiane Desbois), entrambe testimoni transitorie di questi bizarri nodi sentimentali, si caratterizzano semmai nel segno della rinuncia, della passività di fronte a un mondo che corre più di loro e in direzioni imprevedibili. Persone, luoghi e persino i tempi non sono diversamente attraversati dalle storie di Félicie: Parigi, come nell'ultimo atto della Traviata e altrove in Rohmer (Il segno del leone e Il raggio verde) è una molla ora attrattiva, ora repulsiva (con un ironico rovesciamento di questa imprevedibile Madame Bovary dei giorni nostri), Nevers è ora amata ora detestata; il passato si alterna al futuro quale iconostasi del desiderio (Félicie sogna il principe azzurro che fu...).
Caratterizzato dallo stesso delittuoso doppiaggio italiano dei film precedenti, Racconto d'inverno è per me la dimostrazione dell'intraducibilità di un modo di presentarsi al mondo, di un cinema dell'anima, che fa del respiro la sua ragion d'essere. Ma quest'avventura nell'anno rohmeriano è per me la prova che ci si può educare ad avvicinare un cinema non sempre congeniale, adatto al proprio mood e arrivare ad amarlo, sia perché ci si educa, sia perché lo si va scoprendo passo dopo passo. Forse è ancora un po' presto per intraprendere la strada dei sei racconti morali, ma è certo che dopo quest'avventura ho fatto ancora spazio in me a modi diversi di intendere il cinema e a tempi alternativi di sviluppo di una storia per immagini.


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