Viareggio – La «Vietta»
Quella mattina uscimmo dal portone tutti e quattro infagottati, con le borse di paglia dov’erano le scatole di alluminio avvitate piene di minestrone di fagioli. Atos e Riccardo parlavano di Meazza. Mio padre sembrava un ladro, con la sciarpa fino al naso e la papalina fin sopra le ciglia. Io avevo la testa piena di cose buffe: mi sembrava d’andare a fare una gita. Invece che a fare il manovale. Passato il Ponte Girante, fra le case scalcinate della darsena, mi prese freddo e le idee se n’andarono tutte.
[…] Dovevamo arrivare alla «Vietta», un posto dove spesso portavo una ragazza. «Altri tempi», pensavo.
[…] A un tratto scorsi il nostro vicino Bicciù e allegro esclamai: – C’è anche Bicciù. Eccolo là -. Mio padre allora sorrise e accese una «popolare». Intanto fra i pini erano apparsi altri uomini con borse di paglia o con fagotti. […] Camminavamo l’uno distante dall’altro, a ventaglio, come se avessimo paura d’accostarci, quasi ci facessimo schifo. Nessuno diceva «buon giorno». Ad un tratto la voce sgangherata di Bicciù attaccò un buffo e vecchio ritornello del Carnevale:
Diamo al libeccio pensieri e noiaaa…
La vita è bellaaaa… la vita è gioiaaa…
Il silenzio fu rotto finalmente dalle risate. […] I tedeschi erano già sul posto, dopo i ginepri e il falasco, propria sulla riva del mare.
(Rolando Viani, A Viareggio aspettiamo l’estate – pag. 29 e 30 – Einaudi 1975)