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Roma, 15 ottobre 2011: facciamo ordine che qui c’è un gran casino

Creato il 19 ottobre 2011 da Frankezze

Roma, 15 ottobre 2011: facciamo ordine che qui c’è un gran casino
Dare una chiara lettura degli avvenimenti di sabato 15 ottobre è operazione complessa. Troppe dinamiche sono intervenute a modificare un quadro già astratto di suo. Si può però fare ordine tra le macerie della piazza e iniziare a cercare di capire il perché di certi comportamenti e il percome di certe reazioni.

Cosa è successo il 15 ottobre? Un gran casino, tanto che a San Pietro gli son fischiate le orecchie, e questa volta non per le bestemmie.
Come ha reagito l’opinione pubblica?
A corto di semplificazioni che tanto piacciono allo share, il dibattito lo si è voluto ridurre a mera dicotomia “violenza vs non violenza”, un po’ tipo Lazio vs Roma, Cazzo vs Figa, Scajolani vs malpancisti, Pes vs Fifa, Beatles vs Stones.
Cosa c’entra bruciare le macchine o spaccare vetrine?
Credo niente. Ma solo perché ancora non ho letto Toni Negri.
Era un movimento organizzato?
Molti erano ragazzini, altri erano militanti consapevoli che non hanno saputo isolare quella parte di piazza. Detto questo, il conflitto sociale rimane radicale e lì a Roma c’erano migliaia di persone pronte allo scontro. E poi c’è la piazza che è lo specchio del paese (puzza di paternalismo, lo so). La piazza subisce passivamente l’immobilismo del governo, piange la sua precarietà e mancanza di futuro, piange disoccupazione, licenziamenti, livelli di reddito da miseria, povertà, sì povertà, da noi in Italia, sempre più dilagante, che non siamo ancora l’Argentina ma lì c’abbiamo un sacco di parenti.
Però cosa c’entra la rabbia con l’indignazione?
L’indignazione è più “bandiera da taschino” come diceva qualcuno, è sentirsi avulsi dal contesto e disprezzarlo allo stesso tempo, è un sentimento di cui nemmeno si riesce ad avere consapevolezza, mentre la rabbia è un pò come prendere un pungo e reagire con un calcio, che poi magari rendi cieco il mondo, ma tanto già da prima non ci vedeva bene.
E la polizia?
La polizia ha fatto il suo dovere, che poi tutti noi ci diamo la solidarietà alla polizia. I soliti ragazzi da 1.200,00 euro al mese che rischiano la vita,  come la si rischia in qualsiasi altro lavoro, a molto molto meno.
I media come hanno reagito?
Molti opinionisti mainstream hanno condannato i fatti di Roma, riducendoli a pura isteria collettiva, mentre fino a pochi mesi fa tessevano le lodi di Piazza Tahrir “liberatrice” e “partigiana”.
In che senso? Nel senso che se si è pronti a condannare la violenza, non lo si fa a termine e a condizione, la si condanna. Non esiste una violenza giusta e una violenza ingiusta. Esiste la violenza, declinata e multiforme, da quando è nato l’uomo che non c’era ancora Toni Negri, appunto. E in tutto questo nessuno ha parlato delle vere ragioni della protesta. E’ stato il male profondo. Ma sarebbe cambiato poco. Perché tassare i patrimoni, ridurre le spese militari, aumentare le detrazioni d’imposta sui grandi capitali e le entità bancarie possono essere i primi passi verso la democratizzazione dal basso, ma non sono condizione sufficiente per il vero cambiamento, almeno in Italia, dove si patisce un meta-problema alla radice. Saltando un passaggio, si rompe il meccanismo. E il meccanismo si è rotto?
Disintegrato, fatto a pezzi, sgretolato. Ha reciso coscienze ed ha innescato la solita caccia all’orso. Che voglio dire:
Voglio dire che spaccando la testa ad un poliziotto non risolvi granché, alimenti solo quel meccanismo che ci vuole astanti indifesi, passivi e inerti nei secoli dei secoli Black Bloc.
Spaccando la vetrina di una banca non risolvi granché, ma riesci a rendere più chiaro e codificabile il tuo gesto, ne dai un senso, giusto o sbagliato che sia. E poi dovrai misurarti con la consapevolezza di tale atto sapendone pagare le conseguenze.

Poi noi dalle scrivanie di tutta Italia saremo pronti a giudicarti, dovrai accogliere la nostra rabbia a braccia aperte, ti chiameremo fascista, guastatore, infiltrato, Black Bloc, verme, codardo, esaltato, infame, ragazzino, figlio legittimo della merda che ti circonda.

Poi aspetteremo lo streaming della prossima manifestazione andata a puttane. Che il tempo di capire il perché e il percome non ce l’abbiamo.
Che ci fa tutto un pò schifo.
A parte la nostra sacrosanta, collettiva, fottutissima, indignazione.

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