In occasione del centenario della nascita di Ingrid Bergman (Stoccolma, 1915), l’associazione culturale Santa Marinella Viva, in collaborazione con il Nordic Film Fest e il giornalista Rosario Tronnolone, organizzerà una mostra fotografica presso la Casa del Cinema di Roma (Largo Marcello Mastroianni 1, Villa Borghese) dall’8 aprile al 23 maggio, la quale sarà comprensiva di due sezioni: Ingrid Bergman a S.Marinella, mostra curata dall’associazione culturale S.Marinella Viva – 30 immagini di Ingrid Bergman durante le estati degli anni ’50 presso Villa Bergman/Rossellini al km 58 della Via Aurelia di S.Marinella, cittadina balneare del litorale nord di Roma, che raccontano una donna felice in compagnia dei suoi figli, ma anche insieme ad attori di lustro come Gregory Peck, Alberto Sordi, Rock Hudson, nelle quali l’attrice appare in tutta la sua semplicità e naturalezza; I 62 volti di un attrice, mostra a cura di Rosario Tronnolone– immagini che ritraggono l’attrice nei suoi 62 film. L’esposizione sarà arricchita da una serie di dipinti ritraenti la Bergman della pittrice Ombretta Del Monte di Civitavecchia (RM), e da alcuni abiti ispirati all’attrice, al suo stile, realizzati da costumisti di S.Marinella: Anna Rotella, Teresa Venuto e Stefano Gagliano.
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Ingrid Bergman in “Casablanca”
Ingrid Bergman, volto emanante una radiosa bellezza, esaltata da un sorriso per certi versi disarmante, grande fascino ed estrema sensibilità, tanto sulla scena quanto nella vita di ogni giorno, giunse dalla nativa Svezia negli Stati Uniti nel 1939, chiamata dal produttore David O. Selznick, rimasto colpito dalla sua interpretazione in Intermezzo (1936, Gustaf Molander), film del quale venne presto girato un remake made in Hollywood, diretto da Gregory Ratoff. Una volta intuito come i produttori americani intendessero sfruttare la sua immagine all’interno dei consueti stereotipi, la Bergman riuscì ad imporsi per far sì che le venissero affidate parti idonee ad accentuare quella sottile linea divisoria fra candida ingenuità ed estrema sensualità, partecipazione emotiva e sofferto distacco.
Nel Dr. Jekyll and Mr. Hyde, 1941, di Victor Fleming, fu sua la scelta d’interpretare la cameriera Ivy anziché, ruolo propostole inizialmente, la fidanzata del “mostro”, Spencer Tracy, così come è certo esemplare la sua interpretazione di Ilsa nel cult Casablanca (1941, Michael Curtiz), idonea ad offrire alla storia del cinema l’indimenticabile immagine di una donna combattuta nell’amare due uomini con lo stesso impeto ma in modo diverso, o l’intenso, palpabile, trasporto emotivo che traspare nel ruolo (premiato con il primo Oscar della sua carriera) di una donna trascinata verso il baratro della follia dal perfido marito (Charles Boyer) in Gaslight (Angoscia, 1944, George Cukor).
“Notorious”
Soffermandosi, sempre per ragioni di brevità espositiva, sulle tappe essenziali della sua carriera, fondamentale fu l’incontro con Alfred Hitchcock, cui non poteva sfuggire l’insinuante sensualità velata dal fascino altero e in apparenza distaccato, comprendendo e sfruttando a pieno tali caratteristiche insite sia nella donna che nell’attrice, riprendendo quanto già scritto. Eccola quindi, parte praticamente cucitale addosso, nei panni della Dr.ssa Costance Peterson in Spellbound (Io ti salverò, 1945), anche se, ad avviso di chi scrive, ancora più notevole è l’intensità recitativa offerta in Notorius (Notorious ‒ L’amante perduta, 1946), poichè idonea ad esaltare quello che è il tema di fondo della pellicola, ovvero l’ambiguità.
Quest’ultima si sviluppa su due livelli, quello figurativo delle immagini, tra allusioni ed insinuazioni, per cui la personalità dei tre protagonisti (Cary Grant/Devlin, Bergman/Alicia, Claude Rains/Alexander) può dare luogo a diverse interpretazioni, e l’altro più propriamente morale, con un conflitto amore-dovere che porta i “buoni” ad apparire freddi e distaccati, mentre i “cattivi” non solo hanno modi signorili, ma sono capaci di forti sentimenti e di provare emozioni sincere e palpabili, compresa la paura. Da non sottovalutare, per quanto stagliati sullo sfondo grazie alla sapienza registica di Hitchcock, fra suggestioni e virtuosismi idonei a creare la suspense (il consueto distacco tra quanto sappiamo noi e l’attore in scena), i forti risvolti erotici, accennati e sottintesi, senza la morbosità propria delle opere successive.
Bergman e Roberto Rossellini
Difficile poi dimenticare un altro fondamentale incontro che diede inedita svolta alla carriera della Bergman, quello con Roberto Rossellini (tralascerò volutamente, come mia consuetudine, i risvolti sentimentali e mi soffermerò su quelli artistici), ad ulteriore testimonianza della sua volontà di affrontare esperienze recitative sempre più stimolanti ed in tal caso certo inedite, considerando la distanza dello stile rosselliniano da quello proprio delle produzioni americane, ma che l’attrice non faticò certo a comprendere e a far suo, delineando all’interno di una sempre alta poetica autoriale, ritratti femminili estremamente moderni nelle loro sfaccettature e caratterizzazioni psicologiche (Stromboli ‒ Terra di Dio, 1950; Europa ’51, 1952; Viaggio in Italia, 1954).
Il ritorno nelle grazie di Hollywood, dopo la separazione dal regista italiano, fu consacrato dal conferimento del secondo Oscar quale Miglior Attrice Protagonista per il film Anastasia, di Anatole Livtak, mentre il terzo l’ottenne nel 1975 (Murder on the Orient-Express, Sidney Lumet, dall’omonimo romanzo di Agatha Christie, 1934), alternando prima di tale data l’attività teatrale a quella cinematografica. Al cinema le si affidavano infatti ruoli forse minori (a parte quel gioiellino che è Indiscreet, Stanley Donen, 1958, dove la Bergman tornò a recitare accanto a Cary Grant, offrendo una caratterizzazione autoironica, divertita e divertente), ma sempre idonei a lasciare il segno di una duttilità a tutta prova (ad esempio, Cactus Flower, 1969, Gene Saks, riadattamento di una pièce teatrale scritta da Abe Burrows sulla base di Fleur de cactus, commedia scritta da Pierre Barillet e Jean Pierre Grédy).
L’ultima interpretazione sul grande schermo, grandiosa e dolorosamente intensa, considerandone i possibili, e certo avvertiti dall’attrice, parallelismi con la sua vita privata, la Bergman l’offrì nel film del suo conterraneo ed omonimo Ingmar Bergman, Höstsonaten (Sinfonia d’autunno, 1978), lasciandoci il definitivo ricordo non solo di un grande talento ma soprattutto quello proprio di una donna capace d’esprimere partecipe emotività rivestita da una grazia apparentemente distaccata pur nella sua semplicità, forte espressione di grande modernità espressiva non disgiunta da una ferma determinazione:è quanto risalta, per concludere, nello splendido scatto (lo sguardo proteso all’orizzonte, l’aperto sorriso) di David Seymour scelto da Hervé Chigioni, insieme al suo grafico Gilles Frappier, quale immagine del poster ufficiale della 68esima edizione del Festival di Cannes, (13- 24 maggio).
“Ilsa, lascia perdere Rick e Laslzo, vieni via con me…” (pensiero disperato espresso, dopo aver visto per la prima volta “Casablanca”, da un, al tempo, sedicenne-inutile fare nomi- alle prese con le sue allucinazioni cinematografiche, cui altre ne seguiranno negli anni a venire, fino a dar loro consistenza scritta…).