ROMA. Stenosi aortica: penalizzati i pazienti più gravi. Cardiologi e cardiochirurghi sollecitano Governo e Regioni.
Creato il 21 ottobre 2015 da Agipapress
ROMA. Maggiore attenzione alla cura e abbattimento
degli ostacoli che limitano il trattamento attraverso un preciso intervento di
Ministero della salute e Regioni. Questi in sintesi i punti emersi dal convegno“Il costo
sociale della stenosi aortica, una malattia sottovalutata”organizzato
a Roma daSocietà
Italiana di Cardiologia Invasiva (Gise), Centro Italiano Documentazione e
Codifica in Sanità (Cidics), Società Italiana di Chirurgia Cardiaca (Sicch),
con il patrocinio del Senato.
Al centro del dibattito, lo studio “Analisi del
consumo di risorse sanitarie nei pazienti affetti da stenosi aortica” e le
raccomandazioni “Linee guida per la codifica delle procedure TAVI e degli
altri interventi strutturali transcatetere sulle valvole cardiache” documento
realizzato da esperti di Gise, Sicch, Agenzie sanitarie regionali di Emilia
Romagna e Toscana, in collaborazione con l’Agenzia nazionale per i servizi
sanitari regionali (Agenas).
“La nostra analisi – ha spiegatoLuca Degli
Esposti Ceo di Clicon Health– valuta il consumo di risorse
sanitarie, in termini di ricoveri, visite specialistiche, trattamenti
farmacologici, esami clinici e via dicendo, nei pazienti con stenosi aortica
diagnosticata, a seconda del tipo di cura cui siano stati sottoposti. Abbiamo
preso in esame i database amministrativi di tre ASL distribuite sul territorio
nazionale, valutando, nel periodo 2009-2013, 3.698 persone di oltre 70 anni che
erano state ricoverate o operate per stenosi aortica”.
Il primo risultato evidente è chesolo il 20%
dei pazientiera stato sottoposto a un intervento di
sostituzione della valvola aortica. “Il dato non sorprende, ma deve far
riflettere – ha commentatoSergio Berti presidente Gise -.
In Italia si stima che il 4% degli over 70 soffra di stenosi aortica: il
restringimento della valvola aortica provocato da depositi di calcio, che
altera la funzionalità della struttura preposta a regolare l’afflusso di sangue
ai vari distretti dell’organismo. Parliamo di quasi 300.000 persone, circa
50.000 delle quali soffrono della forma più grave e sintomatica”.
“In questo caso, le linee guida internazionali e
nazionali raccomandano l’intervento per sostituire la valvola danneggiata. Ciò
è possibile per due strade: la sostituzione chirurgica, a cuore aperto o con
procedura minimamente invasiva, e quella per via transcatetere, nota come TAVI
- ha spiegatoFrancesco
Musumeci vicepresidente SICCH - .Tra l’una e l’altra, in Italia
si effettuano poco più di 15.000 interventi l’anno sui 50.000 potenziali. Un
dato molto vicino a quello evidenziato da Degli Esposti” ha chiarito.
“Altri due risultati rilevanti, peraltro attesi,
emersi dall’indagine – ha detto ancora Degli Esposti – sono unamortalità 3
volte più elevata in chi non sia operato, 18,6% rispetto a 6,3%
nell’arco di 12 mesi, e unmaggior rischio di riospedalizzazione,
con crescente assorbimento di risorse. Ovviamente, tali risultati vanno letti
anche in relazione alla maggiore gravità intrinseca di questa popolazione
rispetto a quella operata e non solamente in relazione all’assenza di un
intervento. Comunque, se un paziente operato costa, nei 12 mesi successivi, in
media 4.000 euro,un non operato
riospedalizzato costa mediamente 5.000 euro, con punte fino a 11.000 euroin
coloro che presentano maggiore gravità”.
“E qui sta il punto - ha commentato Musumeci -. Quando
si ha di fronte un malato di stenosi aortica grave, spesso la sua condizione è
compromessa da malattie concomitanti, ricordiamoci che parliamo di persone di
oltre 70 anni. In molti casi non possono sottoporsi a un intervento
cardiochirurgico, potrebbero invece essere soggetti a TAVI, indicata quale
procedura di elezione nei pazienti inoperabili”.
“Secondo le valutazioni condotte negli anni dalla
Haute Autorité de Santé (HAS), l’Autorità nazionale sanitaria francese, Paese
nel quale la TAVI è stata messa a punto nel 2002, il numero di pazienti che
potrebbero essere soggetti a questa procedura è di circa80 persone per
milione di abitanti - ha aggiunto Berti -. Nel nostro Paese si
effettuano poco più di 40 procedure TAVI per milione: sono state esattamente2.748 nel 2014secondo
i dati GISE. Poiché non esiste alcun determinante epidemiologico che possa far
ipotizzare differenze sostanziali per questo bisogno sanitario tra Italia e
Francia, dovremmo aspettarcene circa 4.800 l’anno. Così non è perché nel nostro
paese esiste una barriera all’impiego della TAVI, e di molti altri interventi
per via transcatetere sulle valvole cardiache, rappresentata dall’assenza di
codici specifici per queste procedure nei sistemi di codifica utilizzati. La
TAVI si fa, ma non esiste per il nostro sistema sanitario” dice Berti.
Il problema è stato messo in evidenza dalla stessa
Agenas nel documento di valutazione Programma Nazionale Esiti (PNE) 2014 e ha
condotto l’agenzia a chiedere alle società scientifiche di contribuire alla
definizione di un sistema di codifica uniforme.
Ne sono nate le “Linee guida per la codifica delle
procedure TAVI e degli altri interventi strutturali transcatetere sulle valvole
cardiache”. “L’intento di questo lavoro - hanno sottolineato
congiuntamente Berti e Musumeci - è suggerire una possibile soluzione a un
problema annoso, nell’attesa che nell’ambito dei processi di revisione del
sistema DRG italiano attualmente in corso - il Progetto IT-DRG - siano
predisposti codici di procedura specifici per tali interventi e specifici
codici DRG, come è già previsto nella versione 32.0 del sistema DRG pubblicato
dal CMS americano”.
Dal 2007, quando la TAVI è sbarcata in Italia,
alcune Regioni hanno cercato di ovviare al problema definendo propri criteri di
codifica, mentre in altre regioni, in assenza di indicazioni “istituzionali”,
si utilizzano criteri differenziati anche fra i centri di una stessa Regione.
“Sarebbe fondamentale, invece, disporre di un
sistema di codifica uniforme per individuare gli interventi realmente eseguiti –
aggiunge Berti -. La conoscenza delle procedure effettive eseguite nei singoli
Centri, nelle diverse Regioni e a livello nazionale rappresenta il retroterra
indispensabile per compiere valutazioni epidemiologiche, monitorare gli
andamenti di attività e l’impiego di risorse, fare valutazioni di efficacia e
di sicurezza, di appropriatezza e di outcome. Sarebbe importante che il nostro
lavoro fosse recepito da Ministero della salute e Regioni per sanare una
situazione che vede l’Italia, unica tra i Paesi più avanzati, penalizzare i
cittadini che soffrono di stenosi aortica”.
E Marino Nonis presidente Cidics ha concluso: “Il
caso della stenosi aortica e della TAVI è divenuto una sorta di paradigma negativo,
ovvero di ciò che non si sarebbe dovuto fare per garantire questo LEA. Occorre
adottare una strategia organica e uniforme in materia, che comprenda
l’adeguamento degli strumenti di codifica, visto che siamo fermi a quella
statunitense del 2007, validi per tutto il SSN; lo stabilire regole e
tariffazione comuni, come prassi consolidata nei principali Paesi; il valutare,
comunque e da subito, le soluzioni alternative, come peraltro individuate dallo
stesso Patto per la salute al comma 2 dell’art. 9. Così ha fatto, e potrebbe
essere una via da seguire, la Regione Emilia-Romagna con la DGR n. 1673/2014,
che prevede tanto l’identificazione, seppur indiretta, della procedura TAVI,
quanto una sua adeguata remunerazione, disgiunta dai DRG 104-105, ove
attualmente ricade in modo indistinto questo intervento”.