di Aron Coceancig
- Come ha avuto inizio il movimento Salvaţi Roşia Montană?
Il movimento ha avuto inizio nel 1997 quando la RMGC (Rosia Montana Gold Corporation) ha presentato il progetto. I primi attivisti sono stati alcuni abitanti del villaggio che si opponevano all’esproprio e alla distruzione di alcune case e del cimitero. Durante i primi anni il movimento è rimasto sostanzialmente confinato all’interno della vallata, ma dal 2000 con il disastro di Baia Mare ha conquistato la ribalta nazionale. Questa catastrofe ha evidenziato la pericolosità dell’utilizzo del cianuro nelle pratiche estrattive ed ha avviato una discussione nazionale sull’utilità di miniere del genere.
- Come è organizzato il movimento?
Il movimento è organizzato in maniera molto interessante, non è centralizzato ne c’è alcuna forza principale che lo guida. Siamo un insieme di diverse associazioni e singole persone che si ritrovano periodicamente per organizzare il lavoro, la contro-informazione, le manifestazioni, etc. Questo può essere considerato simultaneamente sia un nostro punto di forza che una debolezza. La mancanza di un leader o di una forza principale fa si che le istituzioni e la multinazionale non trovino un rappresentante con cui trattare e questo rende più difficile smorzare la nostra combattività.
- Qual’è la situazione attuale in cui versa il progetto della miniera? La formazione del nuovo governo ha mantenuto inalterati i due ministeri, cultura e ambiente (entrambi UDMR), che dovranno dare luce verde al progetto. Come giudichi l’operato di questi?
Non penso che la nomina di Ungureanu porti grandi novità, il programma di governo è rimasto uguale.
Fra UDMR e Roşia Montană invece la storia è lunga. Nel 2008 sotto la pressione del movimento il partito prese posizioni pubbliche nettamente contrarie alla miniera, giudicandola negativa per la cittadinanza, l’ambiente e le finanze dello stato. Questa posizione è però andata via via attenuandosi prima in un generico „le posizione all’interno del partito sono molteplici“ poi nella mancanza di una posizione ufficiale mentre nel frattempo venivano presi provvedimenti legislativi a favore della RMGC.
- Ultimamente è stata paventata la possibilità di risolvere la controversia con un referendum. Qual’è la tua posizione a riguardo?
Penso sia una soluzione difficilmente attuabile. Io penso che i diritti costituzionali, la vita di un villaggio e l’equilibrio ambientale non possano essere affidati a un referendum, sono diritti primari che non possono essere cancellati con una votazione. La RMGC potrebbe inoltre approfittare delle enormi disponibilità finanziarie per avviare una campagna pubblicitaria in grande stile, cosa tra l’altro che già sta avvenendo, la quale sarebbe difficilmente contrastabile con le nostre risorse. Rimane una questione interessante: come mai se il progetto è così sicuro e così vantaggioso per i romeni la multinazionale ha già speso centinaia di milioni in pubblicità?
- Secondo te esiste un’influenza o una continuità fra il movimento Roşia Montană e le proteste di gennaio?
Secondo me esiste un contatto, anche se non diretto fra queste proteste. Sicuramente le proteste di gennaio non nascono dal movimento Roşia Montană e non ne sono la continuazione, però la lotta contro la RMGC ha evidenziato tutta una serie di problematiche della nostra società che esulano dalla questione ambientale. Abbiamo affrontato questioni come la corruzione del sistema politico, la questione sociale e lo sviluppo economico, il valore della democrazia e il potere delle multinazionali sul nostro parlamento. Queste tematiche possiamo ritrovarle anche nelle manifestazioni di gennaio e quindi in un certo senso Roşia Montană ha aperto la strada.
- Il licenziamento di Arafat è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Qual’è la motivazione principale delle manifestazioni di gennaio?
Penso che il sistema politico attuale abbia indignato la gente. Le persone non sono scese in piazza quando un anno fa hanno tagliato lo stipendio e le pensioni, o quando hanno licenziato molte persone, ma quando si sono accorte che i sacrifici che avevano fatto non erano serviti. Mentre il governo tagliava la spesa sociale, aumentava di pari passo la spesa per la presidenza del consiglio. I cittadini avevano accettato i sacrifici per il bene del paese ma quando si sono accorti che questi non sono serviti a niente e che anzi la classe politica ne chiedeva altri la situazione è esplosa.
- A Cluj le manifestazioni più numerose hanno riguardato poco più di mille persone. Come spieghi la bassa partecipazione? C’è ancora un senso di paura in un paese nel quale i servizi segreti hanno avuto un ruolo importante?
Purtroppo anche io mi sono reso conto della scarsa presenza alle manifestazioni, tuttavia va considerato che in Romania non c’è grande tradizione a scendere in piazza. Io penso che gli ideali del movimento siano condivisi dalla grande maggioranza della popolazione il problema è che regna una forte sfiducia nella possibilità di cambiare il sistema. Questo fa si che molti ritengano le manifestazioni inutili. Penso sia questo il problema principale non tanto la paura della repressione.
- A Bucarest c’è stato un tentativo di forze di estrema destra (Noua Dreapta) di partecipare alle manifestazioni. Pensi che la destra radicale e il razzismo possano rafforzarsi come avvenuto in altri paesi dell’Europa orientale?
Certo il problema c’è. La situazione economica porta molti cittadini all’esasperazione creando una situazione in cui le forze di destra possono conquistare terreno. Io penso però che queste forze non rappresentino un’alternativa. Hanno cercato invano di inserirsi e di strumentalizzare le manifestazioni della società civile, come tra l’altro hanno tentato di fare anche i partiti dell’opposizione, i manifestanti però li hanno sempre respinti dimostrando un grande senso di maturità.
———-