Carissimi lettori, oggi vorrei condividere con voi una giornata speciale per la Romania: il Martisor. Ho potuto di persona constatare la bellezza e la gioia di questa festività che non ha nessuno scopo di lucro ma solamente il buon auspicio per una primavera fortunata.
Per i romeni il primo giorno di marzo è il sinonimo della festa del martisor (diminutivo di “martie”- marzo). Il martisor (che in italiano si pronuncia marzishor), simbolo della primavera, si confeziona con dei fili bianchi e rossi, di cotone o setta, intrecciati in un cordoncino che si lega a forma di otto. A questo cordoncino si appende un ciondolo portafortuna, notevole perché può assumere le più diverse forme simboliche (un tempo monetine doro o dargento, ma anche fili di erba, germogli o fiori; oggi fiori, animaletti, cuoricini, eccetera).
Nei tempi antichi, il primo marzo era l´inizio di un anno nuovo, un momento in cui la gente aveva bisogno di proteggersi dagli spiriti maligni. Più tardi, si appese ai fili una moneta d’oro o un medaglione, con una funzione protettiva. In diversi scavi archeologici della Romania sono stati ritrovati dei martisor datati più di 6000 anni fa. Sotto forma di piccoli sassolini di torrente, verniciati di bianco e rosso, si portavano intorno al collo appesi a un filo.
Inoltre, il primo non è solo la festa del martisor, ma anche di Dochia, un’antica divinità che muore il primo e rivive il 9 marzo (l’equinozio di primavera nel vecchio calendario popolare). Dochia ricorda la Grande madre Terra e può essere associata con Diana e Giunone dei Romani e con Era e Artemide dei Greci.
La leggenda dice che la vecchia Dochia fosse una cattiva suocera, che il primo giorno di marzo mandò sua nuora in montagna a raccogliere fragole. Per strada, la ragazza incontrò un vecchio che le diede un mucchio di fragole. Nel vedere i frutti, la vecchia Dochia credette che fosse arrivata la primavera. Così indossò le sue nove pellicce (dodici in Moldavia e Bucovina), prese le pecore e andò sulla montagna. Il tempo tiepido le fece togliere le pellicce, una ad una. Ma il freddo e la pioggia arrivarono d’improvviso e la vecchia, insieme alle sue pecore, fu trasformata in ghiaccio, che divenne poi roccia. Così si sarebbe formata la roccia chiamata Babele (le Vecchie) delle montagne Bucegi. La tradizione dice che la vecchia Dochia, che scuote le sue pellicce piene di pioggia o neve, sia tuttora responsabile del tempo pazzerello dell’inizio di marzo.
Fonte
Cultura Romena