Dicembre era il suo mese preferito. Il cielo sembrava più terso e pulito, e per Alice la leggera foschia che alle sette del mattino avvolgeva Napoli aveva qualcosa di romantico. Prima del completo sorgere del sole, solo quel poco di umidità ricreava la sua adorata atmosfera magica.Peccato che a essa non si accompagnasse il silenzio! All'ospedale pediatrico presso cui svolgeva il tirocinio c'era un continuo via vai di medici e infermiere, di piccoli pazienti urlanti e genitori isterici.Diede un altro tiro alla sigaretta, cercando di non sentirsi una criminale, e la spense quando ne restava ancora intatta la metà, prima di buttarla in un cestino. Una piccola vittoria nella sua battaglia contro quel vizio. Si sistemò meglio lo zaino in spalla e si diresse alla guardiola per firmare il registro su cui erano annotate le entrate e le uscite, la testa assorta in mille pensieri. Fu per questo che non si accorse che davanti a lei c'era Davide Fiore, ed era strano, di solito lo notava sempre. Andò a sbattergli contro e, quando la afferrò per le spalle, le mancò il fiato.«Sempre persa nel paese delle meraviglie» la salutò con un sorriso che le fece desiderare di sparire sottoterra. Perché, insomma, lei non era timida, ma quando il dottor Fiore, specializzando in pediatria, metteva in mostra quella fila di denti bianchi e dritti, Alice abbandonava Wonderland e si ritrovava in Hotland, un luogo pieno di fantasie lussuriose e proibite. Si tirò indietro bruscamente, con il fiato corto e le guance che iniziavano a scaldarsi per l’imbarazzo. Dannazione a lui!«Una piccola donna non può nulla contro una montagna priva di grazia» si difese, ma sembrò più un attacco. Strategia sbagliata! Il sorriso di Davide divenne ancora più ampio, al punto da farle dubitare che i denti fossero solo trentadue. «La tua lingua compensa bene i centimetri in meno» la prese in giro prontamente, e Alice pensò che entro pochi secondi le sarebbe uscito il fumo dalle orecchie. Lo superò senza degnarlo di una risposta e andò ad autografare quel dannato registro, cercando di non strappare il foglio con l’impronta troppo decisa della penna.Oh, lo odiava, come si poteva odiare solo l'oggetto dei propri desideri. Un diabetico può anche sbavare davanti a una sfogliatella calda, ma sa benissimo che innalzerebbe la glicemia oltre i normali valori di cut-off... Cazzo, era messa male se pensava all'esame di patologia!Sbuffò ed entrò nella struttura, senza fermarsi a salutare nessuno finché non raggiunse lo spogliatoio. Mentre si sfilava il cappellino di lana con i pon pon, guardò con antipatia lo zaino di Davide sulla panca di fronte, quasi fosse il proprietario in persona, con i suoi capelli biondo cenere e gli occhi grigi.Sfilò velocemente il cappottino nero e indossò il camice, poi andò a cercare la caporeparto, Antonella, un'infermiera tonda come un barilotto e incredibilmente disponibile, dote che non tutti i colleghi conservavano negli anni. Sperava anche lei di non perdere mai lo spirito con cui si era iscritta alla facoltà di infermieristica, aveva sempre voluto aiutare il prossimo senza che nell'equazione entrasse troppo sangue.L'assegnazione al Santobono? Una botta di culo unita alla media alta. Eh sì, lei era una secchiona. Non del tipo topo da biblioteca, ma di quello che al corso tutti odiavano: sabato sera in disco e la domenica a studiare come se non si fosse ritirata alle cinque del mattino. Ma lo schema aveva le sue imperfezioni e quando crollava i suoi genitori erano costretti a fronteggiare una ventitreenne isterica e litigiosa. Era lo scotto che le faceva pagare il suo fisico.«Si batte la fiacca?» chiese, entrando nella saletta in cui le infermiere si rifocillavano. Nel tempo avevano allestito un vero e proprio bar con tanto di moka, fuoco da campo e microonde.Antonella la guardò male, e ne aveva tutte le ragioni. Il suo turno era appena finito.«Attacco di vomito alle tre, pianto disperato alle quattro, bambino terrorizzato dalle punture a ore cinque, e la ragazzina mi accusa di perdere tempo!» esclamò la donna, rivolgendosi a un collega che si trastullava con un bicchierino di plastica.Alice le rivolse un sorriso impertinente, poi si preparò il caffè.«Gennarino ha fatto ancora storie per la flebo?» chiese, mentre segnava su un foglio una crocetta in corrispondenza del suo nome. Alla fine del mese ognuno avrebbe contato le cialde utilizzate e pagato i propri caffè.«Ho dovuto sostituirgli il catetere. Ne ho visti di bambini iperattivi, ma lui li batte tutti» si lamentò la caporeparto. Gennaro Caputo, anni sette, aveva deciso di rendere la vita impossibile a medici e infermieri, la sua piccola vendetta per il ricovero forzato. Ad Alice non dispiaceva: se il bimbo aveva voglia di giocare era un buon segno.«Da dove inizio oggi?» chiese appena la caffeina raggiunse lo stomaco e le accese il cervello.
«Controlla la flebo di antibiotici di Gennaro e aspetta il medico per il prelievo a Sandrino» le indicò Antonella. «Per il resto rivolgiti a Michela, io per oggi ho concluso» aggiunse con uno sbadiglio.Alice scimmiottò un saluto militare e raggiunse la stanza dei due bambini.La giovane nonna di Gennaro era seduta su una poltrona con una rivista, Sandrino invece non aveva compagnia. Sua madre era a lavoro e sarebbe arrivata solo dopo pranzo. Questo doveva essere uno dei momenti in cui essere una ragazza madre faceva schifo.«Buongiorno, bimbi! Possibile cha quando non ci sono fate disperare Antonella?» chiese, la voce allegra.Gennarino sussultò, l'espressione che si apriva in un sorriso contento. Cristo santo, quel bimbo la metteva in ginocchio.«Quella non voleva chiamarti!» si giustificò il piccolo.«Quella ha un nome!» intervenne la nonna con uno sbuffo esasperato, poi le indirizzò un sorriso stanco che Alice ricambiò. La poltrona non doveva essere per nulla comoda.
«Ti dispiace se mi allontano un attimo? Ho bisogno di un caffè prima che mia figlia venga a darmi il cambio.»Ehi, chi era lei per mettersi tra una donna e il suo caffè? «Ristretto, mi raccomando. Quello normale è pessimo al bar di sotto» le suggerì, facendole l'occhiolino. Le labbra della donna si incresparono appena, prima che scappasse dalla stanza.«Wow, ti sei proprio dato da fare se tua nonna non vede l'ora di prendersi una boccata d'aria» commentò.Gennaro mostrò le gengive nella sua particolare versione di un sorriso senza gli incisivi. «Non vuole portarmi a casa!»
«Finalmente sento qualcosa di ragionevole! Impara da lui, Gennaro.»«Ma se è più piccolo!» obiettò il teppista sdentato.«Io sono un ometto» insorse Sandrino, che nel suo pigiama con gli orsetti sembrava averne tre di anni.«Ehi, ehi. Ora basta!» li interruppe Alice. Si avvicinò al letto di Sandrino e lo prese in braccio per farlo scendere, poi lo accompagnò in bagno.Lasciò la porta aperta in modo da controllare anche Gennaro e concedere al più piccolo l'illusione di avere un po’ di privacy. «Avvisami quando hai finto» gli disse, mentre batteva un piede sul pavimento.
«Ho finito.»Alice represse una risata e scosse la testa. «Non ho sentito il rumore della pipì.»«Non mi viene, se mi guardi» piagnucolò Sandro, desolato.«Muoviti, altrimenti staremo qui tutto il giorno.» Odiava fare la voce grossa, in particolare con quei due bambini. Oh, era una bugia, le piacevano tutti, anche quelli pustolosi e che le vomitavano addosso.Gennaro si mise a ridere e Alice gli fece cenno di tacere. Poco dopo, sentì il rumore dello sciacquone e quello dell’acqua del rubinetto. Il moccioso si era lavato anche le mani. Era impressionata!«Ho finito… davvero!» annunciò Sandrino uscendo dal bagno, rosso come un pomodoro. E non solo per la febbre.«Ora aspettiamo il dottore per il prelievo» disse afferrandolo per la mano.«Quale dottore?» chiese il bambino mentre lo issava sul letto.«Quello bello» rispose Gennaro e alle sue parole seguì una risata calda che la fece arrossire quasi quanto Sandrino. Si irrigidì tutta e si schiarì la voce, prima di voltarsi.«Il dottor Fiore non ha bisogno di altri complimenti per montarsi la testa» borbottò, guardando Davide, i cui occhi grigi brillavano di divertimento.«Quanto astio! Sicura di aver preso il caffè?» le rispose il dottore, quello bello. Che ne sapeva lui del suo carburante preferito? Alice si trattenne dal ringhiare, e anche dall’aggiustarsi i capelli. La sola presenza di Davide la faceva sentire sciatta e disordinata. Lui era… perfetto, non c’era altro termine per descriverlo. E non solo perché faceva sospirare metà delle infermiere e tutte le bambine, ma soprattutto perché era un buon medico e, a detta di tutti, una brava persona. Be’, lei aveva deciso di trovargli ogni sorta di difetto per compensare, e a stento gli rivolgeva la parola, anche quando se lo ritrovava sempre tra i piedi.«Sto benissimo, grazie» gli rispose, il tono arcigno. «Ti vuoi dare una mossa con il prelievo? Ho anche altro da fare questa mattina.»«Non voglio!» strillò Sandrino e ad Alice sfuggì un’imprecazione a denti stretti. Bel modo di comunicare a un bambino che gli avrebbero fatto l’ennesimo livido sul braccio.Il sorriso di Davide vacillò, poi si avvicinò al letto senza guardarla e si sedette accanto al piccolo, che aveva le ginocchia al petto e gli occhi terrorizzati. Dio, era una deficiente!«Ti prometto che non sentirai dolore» lo tranquillizzò Davide, scompigliandogli i capelli con tenerezza. Alice deglutì un groppo alla gola, non era da lei quella mancanza di tatto. Non riuscì a dire nulla e attese indicazioni.«Guarda cosa ho per te» continuò Davide, tirando fuori dalla tasca una barretta di cioccolato. Il bambino si sporse per guardare meglio e il suo viso perse un po’ della rigidità dovuta alla paura. «Però non puoi mangiarla prima del prelievo» lo ammonì, tendendola al piccolo paziente.«Altrimenti salgono i valori di glucolo» disse Sandrino con la voce sottile e il dottore scoppiò a ridere. «Glucosio» lo corresse Davide, pizzicandogli il naso. «E ora togliamoci il pensiero, prima che la barretta si sciolga.»Alice si affrettò a prendere l’occorrente, cercando di mascherare la vergogna con l’efficienza. Davide riempì le provette e, quando sciolse il laccio emostatico, si preoccupò di massaggiare il braccio del bambino, che aveva trattenuto le lacrime per tutto il tempo.«Ora puoi mangiarla» disse il dottore, indicando la barretta che il bimbo aveva stretto come un amuleto.«E io?» chiese Gennaro, che non si era perso nemmeno un secondo di quella scena. Davide tirò fuori dalla tasca una caramella e gliela lanciò. «Solo una caramella?» mormorò il bambino. «Sandro si è comportato bene, invece tu hai quasi svegliato mezzo reparto questa notte» lo rimproverò, ma non c’era traccia di severità nella sua voce. Alice, che in quel momento avrebbe preferito andarsi a nascondere nello spogliatoio, dovette ammettere che il dottore ci sapeva fare. Era magnifico con i bimbi.«Volevo solo tornare a casa» replicò Gennaro, abbassando le spalle e mostrando per la prima volta tutta l’ingenuità dei suoi sette anni. «Se viene Babbo Natale e non mi trova?» aggiunse poi. Alice trasalì, il cuore stretto per la pena, e sentì gli occhi pungere. «V-vado a portare i campioni in laboratorio» balbettò, prima di spingere il carrello fuori dalla stanza in tutta fretta, senza nemmeno salutare i bimbi.Uscì nel corridoio e si appoggiò alla parete. Una lacrima le rigò il viso e respirò a fondo. Si sentiva un’egoista e anche un elefante privo di sensibilità. Era il quindici dicembre e invece di rendere più sopportabile i giorni di quei poveri bambini, si lasciava trasportare dall’ostilità per un ragazzo che aveva l’unico difetto di piacerle troppo.Chiuse gli occhi e provò a ricordare che nel suo lavoro bisognava essere più impermeabili, come diceva Antonella, ma come dimenticare lo sguardo atterrito di Sandrino o il tono triste di Gennaro?Un palmo gentile si posò sulla sua guancia e Alice sussultò, sbarrando gli occhi.«Non farti vedere così da loro» le suggerì Davide, mentre le asciugava una lacrima con il pollice. Il cuore mancò un battito e il respiro le si mozzò. «Hanno bisogno di leggerezza e tu sei la loro infermiera preferita.»Deglutì a vuoto un paio di volte per scacciare la morsa che le stringeva la gola. «Mi dispiace» si scusò, talmente indebolita dell’emozione di averlo vicino da non riuscire a nascondersi dietro qualche battuta pungente.Davide le sorrise, un sorriso tenero e bellissimo che le ricordò perché doveva stargli lontano. Quell’espressione dolce la voleva tutta per sé, come gran parte delle sue colleghe, e questo era abbastanza da scoraggiarla. Il dottore le prese la mano e la trascinò nello sgabuzzino in cui tenevano i medicamenti. Alice lo seguì, sorpresa dalla propria arrendevolezza e troppo stordita per protestare.«Davide…» iniziò, ma le labbra di Davide si posarono sulle sue e le parole si persero nella sua bocca. La circondò con un braccio e la premette contro di sé. Alice alzò le mani per respingerlo, no, per trattenerlo. Strinse la stoffa ruvida del suo camice tra le dita e si alzò sulle punte per ricambiare quel bacio. Fu una pressione sufficiente a farle desiderare di più, ma Davide si scostò prima che le loro lingue potessero intrecciarsi.«Per questo mi piaci, perché ti dispiace» le spiegò lui, il tono roco. La fissò come se volesse imprimersi la sua espressione nella mente, poi la lasciò da sola nella stanza, con il cuore a mille e le gambe tremanti. Dio, non poteva innamorarsi di lui, si disse mentre si appoggiava a uno scaffale di metallo. Doveva dimenticare quel bacio ed evitare che il ricordo le si imprimesse nel cuore.Sperava solo che non fosse troppo tardi.
«Questo dove lo metto?» chiese Gennaro, sollevando una stella da uno scatolone. «Dove vuoi, tesoro» lo incoraggiò Alice, che a stento riusciva a guardare l'alberello oltre la testa ricoperta di boccoli biondi di Sara. La bambina era ferocemente attaccata al suo collo e non dava segni di volersi unire agli altri. Per fortuna, Alice era riuscita a mettere le lucine prima che quell'amorevole piovra decidesse di catturarla.
Alice aveva sempre associato il Natale alla vita. Non una vita indolente e pigra, ma concitata, brillante, allegra. In ospedale la gioia si faceva spazio a fatica tra tormenti e affanni, eppure non periva sotto i colpi di una depressione indotta dal dolore e dall'isolamento, era nascosta nella risata di un bambino, nel sorriso stanco di un parente, nei cenni d’intesa dei colleghi... bisognava solo scovarla. Da parte sua, poteva dire di essersi davvero impegnata per portare il Natale in reparto. Aveva dato il via alla sua missione il primo dicembre. Dapprima aveva iniziato a fischiettare a bocca chiusa le canzoni tradizionali alla presenza di medici e infermieri, mentre raccoglieva appunti o eseguiva i suoi compiti giornalieri. Il messaggio subliminale era rimbalzato da bocca a bocca, tanto che aveva beccato Antonella a canticchiare "Deck the Halls". In seguito aveva lasciato, casualmente, dei volantini che pubblicizzavano mercatini natalizi, eventi in grandi centri commerciali, spunti per idee regalo. Il dottor Grimaldi era capitolato per primo e la seconda domenica del mese aveva visitato con i figli il Villaggio di Babbo Natale. Alice era stata lieta di costatare che il lunedì l’uomo sorrideva di più e Gennaro le aveva spifferato che il medico aveva distribuito cioccolatini sottobanco.Il terzo punto della missione l'aveva denominato "strappare un sorriso". In quel caso, aveva attinto ai metodi dei piccoli pazienti. Certo, non si era messa a disegnare per i grandi – non ne aveva il tempo – ma ora ogni infermiera aveva l'origami di un alberello natalizio.Appena il morale era stato più alto, si era lanciata in progetti più importanti come la decorazione delle stanze e l'allestimento dell'albero... fino a quella sera. Era il 24 di dicembre e i bimbi avevano la loro vigilia di Natale!Avvolti in pigiami e vestagliette, i mocciosi facevano la fila per una scodella di brodo e un pacchetto di cracker. Poco importava che non potessero abbuffarsi di Nutella e mascarpone: avevano l'albero, il presepe e le canzoni in "inglish" da storpiare a loro piacimento. Loro sì che riuscivano a trovare la felicità in ogni cosa.
Quando i bambini si dispersero per giocare, Alice ne approfittò per una fuga. Passò dallo spogliatoio, prese la sciarpa e il pacchetto di sigarette e raggiunse la scala antincendio.Cavolo se fa freddo!, ragionò quando fu colpita dall'umidità. Si sedette su uno scalino di ferro e sibilò mentre il gelo superava il tessuto spesso dei jeans e la feceva rabbrividire. Si sarebbe adeguata! Aveva le guance accaldate e il cervello stava bollendo per la rapidità con cui elaborava pensieri e immagini. Scartò il pacchetto di Marlboro ma non lo aprì. Erano quasi cinque giorni che non toccava una sigaretta e il bisogno di nicotina le faceva tremare le mani.Un segno che quello che credeva un passatempo si era trasformato in una dipendenza. Storse la bocca in un’espressione disgustata. Lei era più forte di così, più forte delle emozioni che l’avevano sconvolta. E non parlava del dispiacere per dei bimbi malati e costretti in ospedale la notte di Natale, chiunque con un briciolo di cuore avrebbe ceduto alla commozione. Ciò che la turbava davvero era l'effetto che Davide aveva su di lei. Si sentiva impacciata, elettrizzata e completamente affascinata. Fin quando non c'erano stati contatti tra loro, era riuscita a nascondere bene i sentimenti conflittuali che nutriva per lui, ma dopo il bacio di dieci giorni prima? Aveva combattuto una battaglia persa in partenza contro il batticuore e le farfalle che le svolazzavano nello stomaco, incuranti che dicembre non era il periodo per darsi alla pazza gioia.«Hai intenzione di fumare?»Alice sussultò e il cuore le diede un balzo nel petto. Non aveva visto arrivare Davide, troppo persa a contemplare le linee rosse e bianche del pacchetto di sigarette e a macerarsi al pensiero che... si era innamorata di lui? «Non ti riguarda» sbottò, alzando il viso per guardarlo negli occhi. Era emozionata? Sì. Sarebbe voluta scappare? Sicuro. Ma non poteva farlo per sempre, tanto valeva sfidare quelle pozze grigie e bellissime che brillavano alla luce dei lampioni arancioni.«Allora?» le chiese ancora lui, come se non gli avesse risposto.«No!» esclamò, alzando gli occhi al cielo. «Oggi no» si sentì in dovere di specificare. Non era così presuntuosa da credere che non ci sarebbero state ricadute.«Brava, sono cinque giorni che resisti, non cedere proprio la notte di Natale.»«Come sai…»«Io so tutto di te.»
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