[Romanzo] Dovevo arrivarci, scommetto ancora su me stesso. Mi conosco, non durerà poco e me ne pentirò ogni singolo attimo. Quel che ho da dire vale quel che vale. Ho una storia, una che vorrei proprio raccontare. Ho in mente una scena, una scena precisa, come se la stessi vivendo, ne vedo le luci, sento bisbigliare qui intorno quel che si dicono.
Uno dei due è un ragazzo, un giovanotto straniero, bello e coraggioso, non si capisce proprio perché sia venuto qui, anche se non fa nessun mistero di sé. L'altro è un ragazzo di qui, normale, ha un lavoro noioso, ed è innamorato della stessa ragazza, che conosce da una vita, e che da un po' si è messa con lui e non fa che parlarne. I due uomini si incontrano, ed è questo che so bene, e cominciano a parlare: c'è un padre, c'è un nonno, c'è un altro (o un'altra).
Ok, è un po' pochino, non ho neanche il titolo; ma sono convinto che molti non abbiano cominciato con molto più di questo. E poi c'è l'impegno, un appuntamento settimanale, diciamo la domenica (a partire dall'11?). Per seguire un filo, annusare le parole, non le rifiniture, andare dietro ai fatti. Anni fa in questo modo ho scritto sei racconti (violentissimi) a cui sono molto legato, ma che tengo per me. Adesso non gioco al segreto. Il gioco non è un segreto: si gioca per condividere. Vediamo un po' cosa ne sarà, dei miei uomini e di quella donna. E di un romanzo che nasce da un dialogo, da uno scorcio e da tante luci.
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