Giovedì 14 Febbraio 2013 18:58 Scritto da Martilla
Rosaspina afferrò Romeo, un enorme gattone dal pelo fulvo, e lo fece piombare sul sofà, tanto solo lì voleva stare, accanto al fuoco scoppiettante e possibilmente con la pancia piena di croccantini, ma mica quelli del supermercato. Ah no. Dovevano essere sapientemente scelti, triturati e mescolati dallo chef di fiducia che inventava nuove ricette appositamente per il gatto.
Rosaspina maledisse il giorno in cui, spinta da un improvviso slancio di commozione- solidarietà- generosità- altruismo aveva deciso di trasferirsi a casa dalle fatine Flora, Fauna e Serena per aiutarle. Erano invecchiate, poverette, non riuscivano più a usare la magia per fare le pulizie, e vivevano in una specie di tugurio.
In compenso avevano individuato nella figura di Rosaspina una tuttofare insostituibile, e si erano adagiate, e passavano le loro giornate a fumare la pipa e a bere sherry dolce (di una marca di quinta categoria, davvero pessimo, sembrava detersivo annacquato).
Le tre fate avevano un gatto millenario di nome Romeo per il quale avrebbero fatto qualsiasi cosa: era un po’ il pupillo di ognuna di loro, e ne erano gelosissime, a volte addirittura se lo litigavano. Rosaspina non lo sopportava, era convinta che Romeo si prendesse gioco di lei, troneggiava su un’enorme poltrona dalla mattina alla sera, e quando si alzava era per sdraiarsi (tre quintali di ciccia e pelo) sul tappeto davanti al caminetto a rimpinzarsi di cibo.
Per quanto riguarda le tre fate beh, il tempo passava anche per loro.
Flora mangiava quanto Romeo. Era golosissima di dolci. Si faceva preparare (da Rosaspina) per colazione certe sfogliatelle alla ricotta. E se ne pappava anche quattro alla volta. Se l’avessero spinta giù per le scale avrebbe cominciato a rotolare e a rimbalzare, la botta sarebbe stata attutita dalla sua stessa ciccia.
Serena era sclerotica. Parlava nel sonno. A volte urlava. Si svegliavano tutti di soprassalto e si precipitavano nella sua camera per assicurarsi che non fosse cascata dal letto. E Fauna, poverina, era un po’ svampitella. Sorrideva tra sé e sé e parlava con le piante. Aveva le sue giornate no durante le quali ricordava i suoi amori di gioventù. C’era un giovane che le stava particolarmente a cuore, ma non ne ricordava mai il nome…
- Com’è che si chiamava quell’ufficiale che mi faceva tremare d’emozione e girare la testa tanti anni fa?-
- Mmmh…Parkinson?-
- No, no, credo fosse tedesco…-
- Ah, allora Alzheimer!-
La povera Rosaspina non ne poteva più. Intendiamoci: era molto affezionata a tutte e tre, e voleva loro molto bene, ma… Non un attimo di respiro!
La possibilità di riscattarsi arrivò in paese una fresca mattina di marzo.
Si vociferava che un ladro gentiluomo adescasse le sue vittime con lusinghe di ogni tipo e somministrasse loro un sonnifero per farle addormentare, dopodiché le rapinava, prosciugava portafogli, sgraffignava gioielli, e scappava.
Le sue vittime preferite erano le giovani fanciulle ingenue o le anziane signore che molto facilmente cedevano ai complimenti di un giovane affascinante. Lasciava sempre una rosa come segno di riconoscimento. Nessuno era ancora riuscito a beccarlo sul fatto.
Rosaspina era giovane, ma non sicuramente ingenua.
La regina madre aveva organizzato un gran ricevimento per trovare marito a quella sventurata di sua figlia, le piangeva il cuore a vederla così, sgobbare dalla mattina alla sera per star dietro a quelle megere delle fate:
- Aurora, mia adorata figlia (solo la regina la chiamava col suo vero nome), ma perché non ti guardi intorno e non trovi un buon partito col quale sistemarti e vivere felice? Possibile che nessuno faccia al caso tuo?-
- Eh, mamma, cosa vuoi farci, l’ultimo buon partito è scappato con un’altra!
Te lo do io il buon partito! Ma quale partito, quello del pane e salame!- così rispondeva Rosaspina, ben consapevole che la regina madre aveva ragione.
Ebbene, quel ricevimento poteva essere un’ottima occasione. Si presentarono giovani da tutto il mondo, portando regali di ogni tipo: oro, incenso, mirra, birra, mortadella, di tutto. La povera Rosaspina non vedeva l’ora di congedare tutti quei poveri illusi, tanto a lei non importava di nulla.
Un giovane però l’aveva colpita più degli altri: non era bello, ma aveva un non so che di affascinante… le regalò l’unica cosa alla quale nessuno degli altri pretendenti aveva pensato: una rosa rossa.
Rosaspina era ammaliata.
Un momento, però..
Giovane, affascinante, adulatore, con una rosa in dono… ma certo! Era lui! Il ladro gentiluomo!
Rosaspina si ricompose, cominciò a osservarlo, e più lo guardava più si rendeva conto che quell’uomo aveva un che di ambiguo.
- Posso avere l’onore di rivolgervi la parola, diafana fanciulla?-
- Posso avere l’onore di conoscere il vostro nome, signore?- Chiese Rosaspina, fingendo interesse.
- Il mio nome è Giovanni, principessa, per servirla-
Sì sì, dev’essere senz’altro lui….. Farò in modo di incastrarlo.. Riflettiamo.
Quando era bambina, soprattutto per cercare di discolparsi dalle marachelle che combinava, Rosaspina si chiudeva in bagno e si sedeva sull’orlo della vasca con una pezza bagnata sulla fronte. Non aveva perso l’abitudine.
Purtroppo, quando uscì per tornare nel salone e avvertire tutti i commensali del pericolo, era già troppo tardi. La fanciulla si trovò al cospetto di una moltitudine di marchesi, conti, dame, damigelle, tutti addormentati. Nessuno escluso. Ronfavano della grossa.
Di Giovanni l’adulatore, però, neanche l’ombra.
Rosaspina fece appena in tempo a vedere una figura dileguarsi su per la scala a chiocciola che conduceva nella torre più alta del castello.
La fanciulla si incamminò di soppiatto su per la scala con passo felpato, decisa a smascherare il ladro e a consegnarlo alle forze dell’ordine.
Ma come aveva fatto a mettere nei bicchieri di tutti del sonnifero senza farsi notare?
Non sarebbe stato meglio un lassativo? Bah…
Eccola arrivata in cima. Il ladro Giovanni era entrato in una stanzetta dove Rosaspina era solita ritirarsi a cucire.
Il ladro si sedette davanti all’arcolaio e cominciò a fissarlo attentamente. Questo si illuminò e uscì una goccia vermiglia. Per compiere quel maleficio aveva sicuramente stretto un patto con la perfida strega Cunegonda!
Rosaspina si nascose e origliò. Sentì il mascalzone gongolare tra sé e sé:
- Eh eh, mia cara principessa Rosaspina! Questo è per te. Ti addormenterai per mooolto tempo, finché non troverai un pollo che ti porti all’ospedale.. E il castello sarà mio. Un giorno tutto questo sarà mio! Sono quasi commosso. La triste storia della Bella Addormentata nel bosco e il Ricco Gentiluomo Furbo. Eh, già. Piatto ricco mi ci ficco!-
- Aha! Tu, farabutto mascalzone! Ti ho scoperto, lo sapevo! Ma non la passerai liscia!-
- Oh, no, Rosaspina, ma come hai fatto!-
- Semplice, sono più furba di te! Prego, Romeo!-
La porticina si spalancò e come tre furie piombarono le fate che fecero (faticosamente) roteare uno stralunato Romeo per la coda e poi lo lasciarono andare. Il micione obeso fu catapultato addosso al ladro fellone, che rimase immobilizzato sotto il peso del felino.
Principessa e fate, organizzate ma magnanime, chiamarono immediatamente un’ambulanza.
I commensali furono svegliati con sali puzzolenti a prova di narici.
Giovanni fu ricoverato per sei mesi. Aveva tutte le ossa rotte, schiacciate dalla mole di Romeo.
Morale: Giovanni il ladro gentiluomo fu sbattuto in prigione, anzi, in gattabuia, e Rosaspina finì in prima pagina con le tre fate, che furono osannate come le salvatrici della patria. Venne loro dedicata una statua, e ricevettero una medaglia al valore.
Ma più di chiunque altro fu Romeo a godersi il successo: gli venne costruito un enorme trono di oro massiccio e ricevete una scorta vitalizia di croccantini di prima qualità.