Certe volte sono capaci di venirti a trovare tutte insieme le tristezze. Si fanno strada dentro te proprio quando è tarda notte, l'aria fredda brucia le guance, e l'unico sole che hai visto da qualche settimana a questa parte è quello breve e slavato del cielo pesante dell'autunno.
Ti vengono a trovare le tristezze, e tu sei lì, impreparato, con la faccia sfatta di uno che dovrebbe riposare ma che non può riposare, seduto su una panchina umida a sorseggiare il vino che, il gestore del locale in cui hai passato la serata, ti ha prontamente travasato nel bicchiere di plastica dopo averti informato dell'imminente chiusura, perché si è fatto troppo tardie bisogna chiudere. Bisogna chiudere perché non c'è più nessun cliente, le strade sono vuote, e la domenica mattina tra poche ore sarà luminosa.
Ma tu di andare a casa proprio non ne hai voglia, vorresti andare a letto senza questo peso dentro. Vorresti liberartene parlando con qualcuno, ma stanno tutti dormendo.
La sbornia enfatizza ogni minimo accenno di ricordo, e la voglia di piangere è lì che spinge grossi lacrimoni muti fuori dagli occhi.
Sei su una panchina distante qualche metro dall'entrata del locale, il gestore dopo aver dato una pulita e sistemato le ultime cose, esce e chiude la porta. Senti il tintinnio delle chiavi e un suo rumoroso sbadiglio. Si accorge di te, perché nel buio vede la brace della tua sigaretta faro della solitudine, e prima di andarsene passa a salutarti e a sincerarsi delle tue condizioni: “E' molto tardi, dovresti andare a casa” dice, “Vuoi che ti accompagno io? Non sembri in condizioni...”
Lo rassicuri con un finto sorriso e una falsa promessa, fino a convincerlo che non ti muoverai da lì finché non ti sarai del tutto ripreso.
Quando se ne va prendi il tuo taccuino e cominci a scrivere, scrivi tutto quello che ti passa per la testa. Dai sfogo alla tua creatività, alla tua intimità, dai spazio alla pratica terapeutica dello scrivere. Perché scrivere, dicono, aiuta a stare meglio. Poi che possa anche rivelarsi un'arma a doppio taglio col tempo, questo no, mica te lo dicono.
Centellini il vino rimasto e speri che possa durare almeno fino al prossimo punto, o la prossima sigaretta.
Quando il vino finisce ti dirigi verso la macchina, l'hai lasciata in un parcheggio sicuro, in bella vista, già con il muso puntato verso la strada, perché quando sei arrivato sapevi che ti saresti ridotto così, ed allora hai cercato di facilitarti le cose. Metti in moto, inserisci nell'autoradio il tuo cantautore preferito, e cominci a passeggiare, alla ricerca di un altro luogo dove poter alimentare la sbronza. Ma fuori non è rimasta nessun'altra luce al neon ad indicare un'entrata, un ritrovo, un posto dove poter trovare conforto. E' tutto spento, ed allora a casa ci ritorni per forza. Storto, barcollante, intristito dal bere e dalla stagione.
Arrivi a casa, litighi con la serratura per un poco, ma poi riesci ad avere la meglio, raggiungi il letto, e ti lasci andare al sonno galleggiante dell'ubriachezza, sembra che il letto sia una morbida zattera, e speri che quelle onde ti portino, almeno, sulle rive di un bel sogno.