Roy Mann, Tiziano Sclavi e Attilio Micheluzzi attraverso un assurdo universo

Creato il 02 settembre 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Credo che Roy Mann abbia uno degli incipit più belli e più felici mai scritti per un racconto a fumetti: muto, lieve, elegante, geometrico, spensierato. Dando perfettamente il tono a tutto ciò che seguirà, con quell’auto che tranquilla a fine pagina se ne parte volando e sterzando su per il cielo di New York.

A più di venticinque anni dopo la sua prima apparizione (Comic Art, 1987), Roy Mann non perde nulla, non ha nulla di datato. Segno e sceneggiatura rimangono freschi, i molti pregi e i qualche difetto sono ancora quelli di allora.
Il soggettista e sceneggiatore Tiziano Sclavi si rilegge col piacere doppio del suo periodo di grazia aggiunto a quello di una frizzante e inaspettata storia laterale, rispetto al suo filone principale.
Anche il disegnatore, Attilio Micheluzzi, lo si intuisce inaspettatamente ma felicemente laterale rispetto al suo segno più comunemente noto, come sempre inappuntabile ma qui anche giocoso, divertito, a tratti perfino un po’ sperimentale.
Una piccola saga, un romanzo a strati, un libro, in cui due mostri sacri del fumetto italiano ed europeo si divertono fuori dai loro schemi abituali, e appoggiano con noncuranza sul tavolo della storia delle loro biografie e del nostro fumetto, un’opera che riesce a mantenere un equilibrio raro tra levità e malinconia, tra caos ed avventura, tra sguaiatezza e pensiero.

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Un libro: sto parlando di “Roy Mann”, edizioni Rizzoli Lizard, 2013. Centosessanta pagine cartonate che raccolgono le tre storie di Roy Mann già edite una ventina di anni orsono da Comic Art e L’Isola Trovata, su rivista e in albi sicuramente non di questa qualità e di questo pregio. E questo, il tipo di edizione, è sicuramente una delle qualità più importanti di questo libro, insieme a quella di aver rispolverato Roy Mann da un certo oblio d’epoca e averne dimostrato l’intonsa eterna attualità.
Un bel libro, ma in bianco e nero. Di necessità virtù, pare che i colori originali di Micheluzzi, quelli per cui era nato e utilizzati nelle edizioni precedenti, non esistano più, andati persi. Scrivo “per cui era nato” perché a parer mio molto del segno di Micheluzzi, nei primi due racconti soprattutto, è pensato per dar spazio ai colori. Gli equilibri di bianchi e neri chiaramente non sono i soliti, quelli in cui lui era maestro. E anche molte espressioni, certe scelte di sfondi o di impaginazione, il tono complessivo del disegno, sembrano tener chiaramente conto del colore. (E anche la memoria delle letture antiche all’inizio ti stona, ti riporta là, “cerca” il colore.)
Ma poi, se provi a confrontarle, le edizioni antiche e questa nuova, scopri che la necessità diventa virtù. Che i colori che avevi in memoria avevano si un loro senso ma non erano poi così necessari. Che il bianco nero fulgido e impeccabile di Micheluzzi risplende anche con qualche vuoto bianco di troppo. Che persino il racconto un filo si asciuga e pretende più attenzione. E che insomma forse è meglio così.

Roy Mann: pare che il fumetto sia molto ispirato (Paolo Interdonato nell’introduzione lo chiama addirittura “una riscrittura”) a un romanzo di fantascienza di Fredric Brown, “Assurdo Universo”, del 1949. Una ispirazione-riscrittura peraltro palese e dichiarata da Sclavi stesso, secondo un metodo spessissimo usato pure nel Dog nazionale di quel suo periodo d’oro: replicare trame già note di film e romanzi sapendo aggiungerci sempre e sapientemente quell’indefinito qualcosa che le rendeva altro, e sue. E così è anche in questo romanzo in tre lunghi capitoli. Che paiono racconti autonomi, i primi due; fino a che non giunge il terzo, a farti rileggere tutto con occhi diversi, a chiudere il romanzo per davvero.

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Roy Mann, il protagonista della trilogia, è uno scrittore di fumetti di fantascienza nella New York anni ’40. Lavora in redazione, secondo la moda dell’epoca, insieme ai colleghi e a stretto contatto con l’editore. È un signore spensierato e bizzarro, vive con allegria il suo mestiere e impreca esclamando un improbabile “lamartina!”.
Poi un giorno, mentre sta sognando, gli scoppia la macchinetta del caffè: e da lì in poi inizia a vivere storie fantastiche in universi paralleli insieme ai personaggi delle storie che lui stesso aveva scritto. Macchine che volano ma anche cinesi in scooter volanti, nuvole finte ed eroine discinte, buoni e cattivi flashgordoniani e generali guerrafondai direttamente da tutta la storia del cinema: piccolo elenco, a esempio di quanto davvero assurdi e bislacchi siano la fauna e il paesaggio di questo romanzo.

Eppure tutto funziona. Funziona alla perfezione nel primo episodio, “In uno strano mondo”: ci sono l’avventura e l’allegria, una lettura felicemente cadenzata, ci sono trovate e gag e soluzioni di sceneggiatura assurdamente funzionali. C’è un Micheluzzi che fila via con un disegno leggero e sciolto e a suo agio come non mai. C’è persino un erotismo, accennato ma insieme godibilmente dichiarato, che ci sta benissimo e dà anche quel tocco in più. Un racconto che sarebbe stato perfetto già a finire lì, così.

Funziona un po’ meno bene nel secondo caoticissimo episodio, dove Sclavi e Micheluzzi sovrappongono forse eccessivamente trame e griglie di pagina. A loro modo sperimentano, il lettering grida, unisce percorsi e qui e là vuol farsi vignetta e senso. Volendo esasperare l’assurdità della guerra Micheluzzi esaspera il grottesco, ma allontanandosi un po’ troppo dai binari felici della prima parte. L’episodio serve a creare racconto e varianti tra il primo e il terzo episodio, ed è, intendiamoci, sempre un leggere godibilissimo.
Sclavi ne approfitta per prendere in giro l’eterna, e allora particolarmente e Reaganianamente di moda, voglia degli statunitensi di far la guerra a qualcuno, in mancanza di meglio persino a se stessi. Ma, ripeto, il principale motivo d’essere di “Orizzonti di gloria” è di accompagnarci, aggiungendo elementi, a chiudere la triade.

una delle tavole inedite di Magnus

In “Quante volte ritornerai”, terzo episodio che chiude il romanzo, Micheluzzi torna al segno di sempre, quello che gli ha dato la fama, quello dei Labrume e delle Petra Cherie. Quello coi neri a contrastare e che dona un’atmosfera più reale. Impeccabile come sempre, e perfettamente coerente alla trama di Sclavi, che va ad infilarsi in un finale più serio e malinconico, in una serie di scatole cinesi volte a ribaltare il senso di tutto ciò che avevamo letto in precedenza. Un finale di cui non dir nulla per non rovinare sorprese al lettore, un metafinale a riflettere su realtà e fantasia nelle nostre vite.

Un finale che aiuta molto, a decidere di piazzare Roy Mann tra i gioiellini indispensabili delle nostre casalinghe ma attendibili, biblioteche del fumetto.

P.S. A completare il libro, in appendice sono stampati alcuni bozzetti, una prova di copertina e due pagine, disegni ovviamente del protagonista Roy Mann con una diversa fisionomia, disegnati da Magnus, al quale in un primo tempo si era evidentemente pensato come disegnatore dell’opera.

Abbiamo parlato di:
Roy Mann
Tiziano Sclavi, Attilio Micheluzzi 
Rizzoli Lizard, 2013
160 pagine, cartonato, bianco e nero – €18,00
ISBN: 9788817063777

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