Il campo di concentramento di Dachau fu il primo campo di concentramento nazista, aperto il 22 marzo 1933 su iniziativa dello stesso Heinrich Himmler, con una decisione presa appena un mese dopo la presa del potere di Hitler (30 gennaio 1933). Il campo era situato nei pressi della cittadina di Dachau, a circa 16 km a nord-ovest di Monaco di Baviera, nel sud della Germania. Nel 1933 inizia così per la città di Dachau un lungo periodo buio e drammatico, a causa di questo nefasto avvenimento, al quale il nome della cittadina rimarrà per sempre legato. Nel Münchner Neuesten Nachrichten apparve, con ciniche motivazioni, questa ferale notizia firmata da Himmler, Presidente della Polizia della città di Monaco: «Mercoledì 22 marzo 1933 verrà aperto nelle vicinanze di Dachau il primo campo di concentramento. Abbiamo preso questa decisione senza badare a considerazioni meschine, ma nella certezza di agire per la tranquillità del popolo e secondo il suo desiderio.» Al tempo della sua costruzione il terreno non faceva parte della città di Dachau, ma del comune di Prittlbach. Il lager fu installato sfruttando una precedente costruzione di una ex fabbrica di munizioni in disuso, la vecchia Königlichen Pulver- und Munitionsfabrik Dachau – la “Fabbrica reale di polveri e di munizioni di Dachau”, costruita durante la prima guerra mondiale. Dal 1936 al 1938, demolita la fabbrica, grandi lavori, eseguiti dai prigionieri, ampliarono il campo di Dachau portandolo alla forma attuale; solo il lager di prigionia vero e proprio, con le baracche dei prigionieri, formava un rettangolo di circa 300m di larghezza e 600m di lunghezza[2]. Il terreno era paludoso, non godeva di un buon clima: era umido, nebbioso, desolato; non certo adatto alla salute dei prigionieri.Dachau servì da modello a tutti i lager nazisti eretti successivamente; fu la scuola dell’omicidio delle SS che esportarono negli altri lager “Lo spirito di Dachau”, il “terrore senza pietà”. Nel campo transitarono circa 200.000 persone e, secondo i dati del Museo di Dachau, 41.500 vi persero la vita. I deportati in arrivo al lager percorrevano una larga strada curata, la Lagerstrasse, al termine della quale era situato il cosiddetto Jourhaus, la “porta dell’inferno”, il simmetrico edificio del comando di campo con una posticcia torretta di guardia sul tetto; lo Jourhaus è attraversato nel mezzo dall’arco d’ingresso al campo; l’arco è completamente chiuso, a sua volta, da un’estesa grata in ferro battuto con un piccolo cancello al centro, che reca la scritta: Arbeit macht frei; con gli anni questo cinico slogan di Dachau, che significa “Il lavoro rende liberi”, venne esportato in numerosi altri lager e divenne il tristemente famoso simbolo della menzogna nazista laddove il lavoro non liberò mai nessuno ma fu invece usato come strumento di morte principale per lo sterminio scientifico, così giovevole all’economia del Reich. Centinaia di migliaia di prigionieri varcarono quel cancello con quella scritta, di molti di loro non è rimasto letteralmente nulla. Il lager di Dachau, insieme con quello di Auschwitz, è, nell’immaginario collettivo, il simbolo dei campi di sterminio nazisti.
Lecce, 2 novembre 2014
Giovanni D’AGATA