Trent’anni, romano, un diploma all’Alma (Scuola Internazionale di Cucina Italiana) di Gualtiero Marchesi, un nome d’arte legato ad una trasmissione di grande successo (tant’è che stanno già lavorando alla seconda serie) andata in onda tra giugno e agosto su DMAX, il canale del gruppo Discovery dedicato ad un pubblico maschile. Sto parlando di Chef Rubio, il protagonista indiscusso di Unti e Bisunti, lo show italiano dedicato allo street food.
Dal rugby alla cucina: una sfida nella sfida. Soddisfatto della tua scelta? “Sempre. Non rimpiango mai nessuna scelta dal momento che ho imparato che per ogni azione c’è un suo perché, e che in ogni momento della vita di ciascuno c’è l’occasione di virare verso qualcosa di più o meno ignoto. A me non spaventa l’ignoto, anzi mi eccita“, commenta Rubio.
Parole confermate da quanto ho letto su di lui prima dell’inizio di questa esperienza: ”il cuoco romano che non ha paura delle prove più dure, perché sa sempre qual è la sua meta. Un rugbista che non perde mai di vista l’obiettivo. Un amante dei tatuaggi e dei viaggi che ha esplorato tutto il mondo alla ricerca di sapori forti, estremi, nei luoghi dove la strada è il vero ristorante“; e ancora “l’esperto di street food pronto a girare in lungo e in largo l’Italia alla ricerca di chioschi alimentari on the road dove ambientare un’appassionante sfida culinaria per stomaci forti“.
Potete immaginare la mia curiosità, come penso quella di molti di voi, nel voler vedere la sua trasmissione e il carisma con cui, pensavo, avrebbe affrontato ogni puntata. Bene, le mie aspettative non sono state deluse. Anzi, mi è piaciuto molto osservare come, ogni volta, il tema del cibo sia stato presentato in maniera così diversa da quello che da troppo tempo ormai la televisione ci ha abituato a vedere: una cucina considerata sempre più elitaria che pare abbia perso la sua autenticità e che non abbia spesso quasi più nulla da raccontare. Grazie probabilmente anche al tema del cibo di strada, ho trovato invece vincente il modo che Unti e Bisunti ha avuto per raccontare i territori attraverso le sue tipicità più “banali” (in quanto parte della vita di tutti i giorni), ma forse proprio per questo motivo quasi “scontate” e sconosciute ai più.
Conoscevi già i piatti della tradizione che hai raccontato o è stata una sorpresa anche per te prepararne di nuovi? “Assolutamente una sorpresa in ogni città: non avevo mai preparato prima della serie nessuno dei piatti sfida ed è stata per me un’esperienza davvero gratificante e di alto spessore culturale”.
Rubio e Antonio
Quale cibo di strada ti ha colpito di più in questa prima serie di Unti e Bisunti e quale personaggio invece? “Il pani câ meusa ossia il panino con la milza: avvolgente, succoso, rotondo, quasi orgasmico. E, come per il cibo, nemmeno sul personaggio ho dubbi: si tratta di Antonio a Napoli, per la sua disponibilità, la sua cultura, per il modo di affrontare le avversità. Un grande uomo”.
Attraverso queste immagini, i personaggi incontrati, i piatti preparati, è emersa un’Italia variegata, viva, verace, capace di conquistare i palati di chiunque abbia voglia di iniziare un viaggio gastronomico anche all’interno della propria terra. E così, in Unti e Bisunti (che a dispetto del nome ha prestato sempre attenzione alle calorie di ogni piatto presentato), sono state scoperte le caratteristiche che deve avere un ottimo fritto alla romana, come va preparato il panino con la milza di Palermo, il metodo tradizionale della pecora al cottora abruzzese e dove trovare il miglior lampredotto a Firenze e poi ancora la Marenna, la zuppa di soffritto napoletana, la mitica frittura di alici di Cetara (e la sfida qui non poteva che giocarsi a casa del mitico Pasquale Torrente) e le polpette di cavallo in Sicilia.
Che cos’è per te il cibo di strada? Una filosofia di vita, un modo di essere o altro? “Il cibo di strada per me è cibo, come quello dell’alta cucina. Di sicuro più poetico, ma pur sempre cibo. Non bisogna mai scordarsi – commenta sempre Rubio – che la bellezza del cibo è quella di servire a nutrire, ad appagare i sensi e a sollazzare. Non è altro che un’effimera emozione, e come tale deve essere trattato. Basta saputelli e luminari onniscienti. Il cibo è cibo”.
Gabriele Rubini ama definirsi gispy chef per il suo modo di essere e di lavorare che è a tutti gli effetti quello di uno chef freelance. Ma cosa significa? ”Essere uno chef freelance è come essere un ronin (samurai) del cibo. Significa andare dove si vuole ed essere senza padrone, anche se poi senza padrone non si è mai. Alla fine bisogna sempre render conto a se stessi e a chi ti ingaggia rispettando le due parti al massimo, però di sicuro significa avere un percorso di vita forgiato sulle proprie esperienze, e quindi unicità e la libertà di esser unici”.
La curiosità per i cibi e le culture di paesi lontani, ha portato Chef Rubio a viaggiare in Europa, Argentina, Canada, Usa, Norvegia, Finlandia, Svezia, Regno Unito, Cina, Corea, Giappone, Nuova Zelanda, Australia, Isole Fiji e Sud Africa, ma confessa, non ha uno street food preferito: “Ognuno è stato il più buono per quel momento”. Il più insolito che hai mangiato? “Sperma di merluzzo, cavallette, larve e scorpioni”. In generale qual è il tuo piatto preferito o quello che preferisci cucinare? “Non mangio mai la stessa cosa, così come non cucino mai lo stesso piatto. Potrei risponderti per tutte e due le domande… il prossimo”.
Hai un modello di riferimento nel tuo lavoro di chef? “Me stesso. Faccio la gara solo con me stesso. L’unico che stimo e che mi ha dato veramente tanto è stato Alessandro Breda“.
Se dovessi scegliere, quale chef stellato italiano sfideresti e perché? “Io non sfiderei e non sfiderò nessuno: la cucina è tutto tranne che sfida. Le sfide sono per i perdenti, la mia sfida ripeto è solo con me stesso. È li che si vince o si perde. Le sfide del programma invece non sono vere sfide, sono solo il modo per arrivare al cuore del piatto. A chi è fissato con le sfide consiglio di leggere L’arte di correre di Haruki Murakami”.