Scrittore berlinese (ma con un curriculum lavorativo che include anche le qualifiche di archeologo, architetto e animatore di cabaret, oltre che di indefesso viaggiatore), Ernst W. Heine propone nel 1986 in Italia questa sua minuta ma diabolica antologia risalente a tre anni prima, inserita dall’editore Theoria nell’interessantissima collana Riflessi.
A partire dal curioso titolo, Heine mette subito in chiaro i suoi intendimenti: il richiamo è primariamente al termine tedesco killekille, che sta per ‘solletico’; ma è ovvio pure l’aggancio al verbo killen, ovvero ‘uccidere’. Si tratta, infatti, di quindici brevi racconti caratterizzati da un umorismo caustico, cinico, non di rado imbevuto di veleni repellenti che corrodono allegramente i nervi del lettore. Sono vicende nelle quali quasi sempre il finale giunge inatteso, riuscendo a stravolgere il senso generale della narrazione. Si sorride a denti stretti, leggendo queste strampalate perle nere, poiché l’autore – senza perdere tempo ad adornare le proprie fantasie con particolari ricerche stilistiche – ci trascina brutalmente dentro la sua testa, ci coinvolge e ci sorprende con le crudeli acrobazie della sua immaginazione.
Si comincia con il crudissimo I cacciatori di scimmie, che mette in scena un episodio degno dei peggiori supplizi cinematografici della serie Saw. E seppure privi di violenza grafica, anche titoli come Viva la giustizia!, Quando le pietre parlano o il divertentissimo Il progettista lasciano il segno, rappresentando i mille volti della sconfitta dell’uomo contro l’imperturbabilità del fato, o forse solo del caso. I personaggi di Heine, va notato, sono invariabilmente dei perdenti, e nonostante facciano di tutto per mantenersi in piedi fino allo stremo non possono che soccombere. Con Talata, Gesù giapponese o Il capolavoro, tanto per fare alcuni esempi, si rivedono in chiave macabra eventi storici quali il passaggio della cometa su Betlemme, il bombardamento di Hiroshima o la genesi de La Gioconda. Dio è piccolo pone un dubbio talmente terribile da far vacillare ogni equilibrio mentale; Kulu Kulu mette in guardia contro l’uso sconsiderato di certi feticci, mentre Il processo sfocia in una chiusura che strappa, inevitabile, la risata…
Nella presentazione del volumetto, la curatrice Maria Paola Arena ben riassume lo spirito dell’opera: “Una volta sbarazzatosi del principio estetico, di vetusta memoria, dell’imitazione della realtà, il narratore può abbandonarsi al piacere di manipolare variamente questa realtà, piegandola alle esigenze di una fantasia capricciosa, sinistra e non di rado gaiamente intemperante. […] Quindi il pericolo da evitare con ogni mezzo non è tanto l’inverosimiglianza dei fatti o il disimpegno del contenuto quanto la noia del lettore, unica vera sconfitta cui il narratore può andare incontro.”
E di noia, in Kille Kille, non ve n’è proprio traccia. Un autore, Heine, che di sicuro ama molto Ambrose Bierce; stima che sarebbe stata indubbiamente ricambiata.
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