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2013, Scritto e diretto da Alessandro Porzio
Interpreti: Claudia Vismara e Matteo Pianezzi; Prodotto da Diero; Scenografia : Matteo Cecconi; Suono : Fabio Russo; Trucco : Manuela Traini; Colonna Sonora Originale : Stefano Ottomano
Stretti in una stanza, in una singola lunga inquadratura, stretti dal segnale acustico e da un intelligente crescendo, straziante, saturo. Reale perché la sceneggiatura, gli attori, la situazione in cui si trovano hanno in sé tutta una potenza drammatica, per nulla tradita, che il regista, Alessandro Porzio, ha saputo rappresentare senza artifici.
I dodici minuti sono tutti un fiato, il fiato di lui, il suo “rumore bianco” apparente unico segno di vita, mentre lei, la sua fidanzata, ha il tempo, perfettamente scansionato di mutare il suo personaggio: da ragazza accorta a reclamatrice di una giovane vita che vorrebbe semplice, normale, fatta di parole distinguibili, di rapporti alla pari, di fisicità, di esperienze, di non-tristezza, insomma una vita che si evolve e non rimanga statica come su un lettino.Lui ha avuto un incidente di cui non sappiamo nulla, lei ha una vita al di fuori della stanza di cui sappiamo altrettanto.
Questo concentrarsi sul qui e ora, sul conflitto interiore di lei giova ad un’opera “corta” come questa. Porzio ha poi saputo con estrema abilità non sbilanciarsi sul punto di vista: la scena non assegna un protagonista, non c’è un lato buono e uno cattivo. Nei panni di lei possiamo condividere la voglia di vita, di aria aperta e nuova, nel corpo di lui sentiamo tutta l’impotenza, la repressione, la forzata incapacità di parlare e di intervenire in una situazione così forte, così personale. Non c’è una morale che dice “lei è fuggita via da me e ora?” oppure “lui mi avrebbe limitata, ho fatto bene”, no, ci sono entrambe le cose, entrambe le reazioni-sensazioni. Risultato: la drammaticità raddoppia, gli ultimi irrespirabili minuti danno quasi fastidio, generando repulsione, mai attrazione, forse proprio perché non abbiamo una ragione “buona” tra le due a cui appigliarci. È un baratro: respiriamo con lui, piangiamo con lei.
Gli attori sono perfetti nelle parti. Lei sa tenere per lunghi minuti una scena certo non semplice, dove è facile esagerare, esasperare o al contrario risultare poco credibili, invece la prestazione di Claudia Vismara è mirabile. Matteo Pianezzi riesce nell’impresa di essere emotivo e impassibile.
Un solo aspetto mi è dispiaciuto, un’inezia ma che «se è stata notata è un difetto» come ha detto qualcuno.
Si respira un’intimità così forte in Rumore bianco, così privata, che si arretra, si vorrebbe lasciar la storia a metà per “non disturbare”. La camera, la composizione della scena vorrebbero in certi casi essere completamente anonime, imbarazzate di esserci, non comunque presenti, e si può dire che lo siano in tutto il corto, tranne in piccoli e minuti passaggi, quando i riflessi della luce diretta entrano nell’obiettivo. In quelle immagini trasfigurate ecco che si sente una terza presenza e l’intimità in qualche modo si incrina. È un elemento quasi insignificante di fronte alla potenza emozionale del resto, ma un dettaglio che può farsi sentire.
Se però si arriva a parlare dei dettagli vuol dire che il resto è proprio ben fatto. Equilibrio, realtà ed emozione. Non poco per un cortometraggio.