Run All Night: Una Notte Per Sopravvivere - La Recensione

Creato il 25 aprile 2015 da Giordano Caputo
La collaborazione artistica tra il regista Jaume Collet-Serra e Liam Neeson raggiunge, al terzo tentativo, il massimo del risultato cui potesse aspirare.
Riscattato parzialmente il fallimento di "Unknown: Senza Identità", tramite il buonissimo "Non-Stop", con "Run All Night: Una Notte Per Sopravvivere" la coppia trova finalmente la ricetta perfetta per l'action assoluto e impeccabile: quel prodotto d'intrattenimento dalla corposità asciutta e il sapore equilibrato, gustoso abbastanza da rifiutare qualunque appunto o divagazione.
Stiamo parlando di una pellicola furba e intelligente sotto tutti i punti di vista, che sfrutta la figura attuale di Neeson per radunare adepti ed inserirla in un contesto più o meno solito a quello in cui ormai abbiamo imparato a contraddistinguerlo, con la sola regola di non forzare esageratamente la mano e restare quindi tra quelle sembianze di realtà e credibilità ultimamente valicate e ignorate oltremisura. Una direttiva, tra l'altro, che in primis non fa che avvantaggiare l'attore stesso, non obbligato a rischiare di risultare involontariamente ridicolo e costretto a condividere la scena con spalle di soccorso dalle quali anche lo script scaltramente va a rubare il meglio per ampliare e fortificare la propria minimale struttura. Struttura che sembra essere stata scritta su di un fazzoletto di carta, ispirata probabilmente da "Io Vi Troverò", ma diversificata e migliorata dallo sceneggiatore Brad Ingelsby tirando fuori un surrogato rafforzato e più solido.
C'è ancora un figlio da salvare allora in "Run All Night: Una Notte Per Sopravvivere", soltanto che questa volta è tutto fin troppo cercato e previsto, da quando Neeson - killer in pensione, alcolizzato e con la coscienza sporca - è costretto ad uccidere il figlio del suo migliore amico e boss - Ed Harris - per evitare che questo faccia fuori il suo, involontariamente colpevole di aver assistito a un omicidio e di non far parte della malavita scelta dal padre con cui, non a caso, ha chiuso ogni genere di rapporto.
Anziché "trovare", la parola d'ordine in questo caso perciò diventa "nascondersi", far perdere le tracce e tentare, durante la fuga, di far ragionare un mandante, consapevole della brutta piega intrapresa dal figlio, eppure costretto, moralmente, a vendicarlo ad ogni costo. Tutto è fin troppo scontato e prevedibile, insomma, nella pellicola di Collet-Serra, come anche in certi casi teatrale e artificiale, due considerazioni tendenzialmente negative, ma che nel caso specifico non condizionano il godimento di una visione tesissima e gradualmente incalzante. Ogni cosa verte in favore dello spettacolo e dell'adrenalina, piega degli eventi compresa, come se in gioco non ci fossero davvero le vite dei protagonisti, bensì il divertimento da confezionare per bene e da distribuire allo spettatore. Lo conferma persino la svolta con cui viene anticipato l'atto conclusivo, dove in maniera a dir poco pratica, la minaccia pericolosa e mortale, schivata per oltre un'ora, viene spazzata via in maniera fin troppo agevole, al punto da chiedersi come mai non fosse stata presa di petto fin da subito e archiviata alla svelta.
Ma tuttavia, ripensandoci, ci rendiamo conto di essere stati fortunati ad aver trovato lunga attrazione da un giocattolo, in realtà, meno complesso di quanto non fosse sembrato. Quella di Collet-Serra è una pellicola disposta a complicarsi la vita e a manipolare il suo andamento, appositamente per appagare il voyeurismo dello spettatore. Una tattica che teoricamente tende a non pagare o a non essere vincente, ma in questo caso trova prepotente la sua eccezione.
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