Rush: la rivalità lauda-hunt nel più bel film sulla formula 1

Creato il 25 settembre 2013 da Postpopuli @PostPopuli

di Francesco Gori

Niki Lauda vs. James Hunt: una rivalità che ha fatto la storia della Formula 1 e che ci viene riproposta nel film Rush, di Ron Howard.

La storia parte da quel 1° agosto 1976, sulla griglia di partenza del gran premio del Nürburgring, dove i due acerrimi rivali si contendono il mondiale in condizioni meteo proibitive, su un circuito ad alto rischio. Un flashback di sei anni ci riporta agli esordi del duo, e alle prime ruggini in F3. Troppo diversi Lauda e Hunt: razionale, geometrico e introverso il primo, quanto passionale, esagerato e mondano il secondo. Ma una cosa li accomuna: la velocità.

Niki Lauda e James Hunt – telegraph.co.uk

L’austriaco, nonostante la famiglia remi contro, riesce ad ottenere un prestito e garantirsi una macchina, per poi dimostrare il proprio valore non solo nella guida, ma anche nella messa a punto della monoposto. Un talento che gli garantirà l’ingaggio in F1 da parte della Ferrari, accanto a Clay Regazzoni (interpretato da Pierfrancesco Favino), dove si farà valere fin da subito (“Questa macchina è una merda” dice ad un tecnico). L’inglese, devoto ad alcol, donne e sigarette, ma deciso a conquistare il suo sogno grazie al proprio genio automobilistico, accede al grande circus con il team Hesketh, messo su dall’amico e finanziatore Alexander. Nel 1975 il titolo mondiale è di Lauda, ma è l’anno successivo quello dello spettacolo tra i due, con Hunt al volante di una competitiva McLaren.

Il campionato mondiale 1976 è stato sicuramente tra i più avvincenti della storia di questo sport, in un mondo in cui dominava ancora la meccanica (a differenza dell’elettronica odierna), con monoposto roboanti, ingovernabili e pericolose, senza grandi protezioni per i piloti. L’incidente mortale era sempre dietro l’angolo. Una Formula Uno eroica, teatro di folli, pronti a sfidare la morte perché “solo quando sei così vicino alla morte, ti puoi sentire realmente vivo” afferma il dannato e romantico James dai capelli lunghi e biondi, capostipite di una generazione indimenticabile, che sarà segnata poco tempo dopo anche dall’estro di un altro pilota: Gilles Villenueve. Driver degni di confronto ci furono nei successivi anni Ottanta – quelli di Piquet, Senna, Mansell e Prost – ma in un’atmosfera meno-da-leggenda, definitivamente persa nell’era Schumacher prima, e Vettel poi, dove l’uomo conta sempre meno e la tirannia di sponsor e tv sempre di più. Il circus di quegli anni era affascinante e in continua evoluzione, perfetto specchio di quei memorabili quanto difficili anni Settanta, con vetture leggendarie quali la Lotus John Player Special e la Tyrrell-Elf a sei ruote. 

Ma torniamo a quel 1° agosto: Lauda non vuole correre, James Hunt che rincorre il titolo dopo un avvio segnato dai ritiri sì, e la sua personalità convince anche gli altri piloti. È il giorno del grave incidente di Niki che, causa cedimento della sospensione, perde il controllo della sua Ferrari che si schianta ad alta velocità per poi andare a fuoco: si salverà per miracolo, con gravi ustioni che ne segneranno per sempre il viso. Ma non la tempra, la stessa che 42 giorni dopo lo riporta in pista nel gp d’Italia, con ferite ancora fresche e occhi che non vedono bene: una corsa da eroe vero, che gli vale il quarto posto. Nel gp del Giappone, ultimo della stagione, va in scena l’epilogo della grande sfida: ancora un diluvio, Lauda si ritira presto per la pericolosità delle condizioni, Hunt il leone indomabile continua a spingere come un forsennato e, nonostante un problema all’anteriore nel finale, rimonta e strappa un terzo posto che gli vale il titolo per un solo punto. James Hunt ha raggiunto il suo sogno, e la sua carriera, nonostante altri tre acuti l’anno successivo, finirà praticamente qui, per scivolare nella dissoluzione tanto amata.

I protagonisti Chris Hemsworth e Daniel Bruhl  - deejay.it

Finalmente una pellicola realistica sul mondo delle corse, dopo stancanti e artificiosi tentativi di Tom Cruise prima e Sylvester Stallone poi, capace di far rivivere una storia così lontana nel tempo, di far conoscere attraverso le straordinarie interpretazioni di Chris Hemsworth e Daniel Brühl – terribilmente somiglianti agli originali – una rivalità leggendaria. Nel film dell’ex Richie Cunningham di Happy Days c’è tutta la follia della velocità, con inquadrature frenetiche che la richiamano, c’è l’improvviso rombare dei tubi di scappamento che scuote lo spettatore pronto a calarsi nell’abitacolo, c’è una colonna sonora (Hans Zimmer) che fa eco ad ogni scena, e una scenografia stessa che ricostruisce un’impalcatura più che verosimile. Ma ci sono soprattutto due modi diversi di affrontare l’esistenza, accentuati con tatto dal regista: con raziocinio, moderazione e un 20% di rischio calcolato (come ripete Lauda), oppure con coraggio e incoscienza, a tutto gas ogni giorno, da vero pilota Beat. Non senza la paura, presente ad ogni partenza nello stomaco e negli occhi dei protagonisti, ma è nell’affrontarla che sta il senso dell’esistenza, perché La morte, il più atroce di tutti i mali, non esiste: quando noi viviamo la morte non c’è” (Epicuro - Lettera sulla felicità). James e Niki ce l’hanno insegnato, coi loro sorpassi mozzafiato.

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