La chiesa di S. Vincenzo al Volturno
Uno squarcio di luce in un periodo piuttosto buio della storia italiana stanno dando le ricerche e le scoperte che gli archeologi vanno facendo nel complesso di San Vincenzo al Volturno, in provincia di Isernia.Il complesso è databile ad un periodo compreso tra il VII e l'VIII secolo d.C. ed è ricchissimo di bellezze al punto da spingere ad aprire, al suo interno, un sofisticato laboratorio di restauro pittorico, dove gli esperti hanno potuto comodamente analizzare le decine di migliaia di frammenti di affreschi che dovevano, un tempo, decorare le pareti.
L'area in cui si installò l'abbazia di S. Vincenzo al Volturno ha restituito, però, anche testimonianze antecedenti all'arrivo dei monaci benedettini. Sono state, infatti, riportate alla luce un insieme di 25 sepolture di VI-V secolo a.C., probabilmente attribuibili ai Sanniti. Nell'area vicino al fiume Volturno, invece, si era installato un complesso abitativo di II secolo a.C., al quale si sovrappose, in epoca alto medioevale, una chiesa con cimitero annesso (IV-VI secolo d.C.).
Notizie in merito al complesso monastico sono giunte fino a noi attraverso il "Chronicon Vulturnense" (conservato attualmente in Vaticano), compilato, nel 1130, dal monaco Giovanni che aveva attinto a fonti più antiche di quasi duecento anni.
Vincenzo, il martire spagnolo a cui è dedicato il complesso, sarebbe nato a Huesca, avrebbe studiato a Saragozza e sarebbe morto durante le persecuzioni dell'imperatore Diocleziano (303-311 d.C.). Il centro molisano a lui dedicato diventò ben presto il crocevia di interessi politici delicati, durante le lotte tra Franchi e Longobardi per il predominio in Italia.
Il primo impianto di cenobio vide la luce nel 702, quando tre monaci benedettini, provenienti dall'abbazia di Farfa - tali Paldo, Taso e Tato - ricevettero il beneplacito alla fondazione di un luogo di preghiera da parte del potente duca di Benevento, Gisulfo I. Il primo impianto dell'abbazia utilizzò quanto rimaneva delle strutture romane, integrandole con materiali deperibili come legno, fango e frasche. Il primo edificio in muratura era noto come Chiesa Sud, di fattura molto semplice, costruito sull'area cimiteriale tardoromana. In meno di un secolo da allora, sotto gli abati Giosuè ed Epifanio, il complesso si trasformò notevolmente dal punto di vista architettonico e artistico. Sul lato est, che si affacciava sul fiume, vennero installate le cucine del monastero e, accanto ad esse, i cellaria, magazzini dove venivano conservate le derrate alimentari. Sul lato ovest, oltre ad una serie di ambienti non ancora ben identificati, si trovava la basilica di San Vincenzo Maggiore, preceduta da un'area aperta occupata, probabilmente, da altri edifici e da alcune botteghe artigiane. Nel IX secolo S. Vincenzo al Volturno era una vera e propria cittadella, con ben nove chiese, alloggi, refettorio, laboratori artigianali. Non solo, ma vantava anche possedimenti in Abruzzo, nella parte meridionale del Lazio, in Campania, Puglia e Basilicata. Nel 787 Carlo Magno stipulò con i monaci di S. Vincenzo al Volturno un accordo che concedeva a costoro l'autonomia finanziaria ed amministrativa.Il momento critico, per il grande complesso molisano, si ebbe il 10 ottobre 881. Esaurito il rito collettivo della cena (a base di carne di volatili, pesce di fiume e frutta), all'improvviso irruppero le orde saracene al servizio del duca-vescovo di Napoli Atanasio II. La cittadella monacale cadde rapidamente in mano agli assalitori e fu messo tutto a ferro e fuoco. Pochi monaci scamparono ed i primi a ritornare a S. Vincenzo al Volturno lo avrebbero fatto solo a cento anni dal disastro, nel tentativo di ripristinare l'antico splendore. Gli scavi hanno rivelato che le strutture della basilica furono riedificate ex novo nella parte orientale dell'edificio. La parte occidentale, invece, venne ristrutturata radicalmente. Fu realizzato anche un atrio quadriporticato, detto in latino medioevale paradisus, preceduto da una rampa monumentale, che inglobò parte delle strutture di IX secolo. All'interno del paradisus venne realizzata un'area di sepoltura per parte della comunità monastica di San Vincenzo. Intorno al 1030, sotto l'abate Ilario, si completò la chiesa con un nuovo ciclo di decorazioni pittoriche e si eresse, di fronte alla sua facciata, una struttura composta da tre torri, culminante con una torre campanaria posta in posizione centrale, più alta della stessa chiesa. Questo tipo di costruzioni, dette in latino triturrium e in tedesco westbau, dovevano monumentalizzare la facciata e sono di matrice tipicamente tedesca (si ritrovano anche a Farfa, Subiaco e Montecassino).
Alcuni edifici a nord e sud della grande basilica sono stati datati, dal ritrovamento di alcune ceramiche, all'XI secolo. Uno di questi edifici era decorato da un pavimento in mosaico ed opus sectile ed è stato identificato come una sala capitolare.
Il trasferimento della struttura monastica sulla riva destra del Volturno tra l'XI e gli inizi del XII secolo, determinò la progressiva e completa demolizione degli antichi edifici per poter recuperare materiale costruttivo. Il nuovo monastero fu concepito come complesso fortificato protetto su tre lati da un muro di cinta. La chiesa, che fu consacrata nel 1115, era preceduta da un atrio quadriportico ed affiancata da fabbriche monastiche ora scomparse.
Nel 1699 una bolla di papa Innocenzo XII decretò il passaggio di quel che restava del complesso cenobitico di S. Vincenzo al Volturno all'abbazia di Montecassino.
Tra i ritrovamenti archeologici che segnano la testimonianza delle vicende storiche del complesso di S. Vincenzo al Volturno, compaiono anche le punte di lancia saracena conficcate nel portone d'ingresso al monastero. La cripta del monastero è affrescata con un ciclo pittorico estremamente raffinato, che comprende le scene degli arcangeli menzionati nell'Apocalisse di S. Giovanni e le vivide scene di martirio di alcuni santi come Stefano e Lorenzo. Il ciclo pittorico risale al IX secolo. All'esterno della cripta, nell'area dell'antica cittadella, è stata riportata alla luce una necropoli con oltre 40 tombe in cui sono stati trovati inumati circa cento individui, alcuni dei quali erano, forse, gli abati che hanno retto il complesso monastico.
Alcune piattaforme di legno, rinvenute sul lato della cittadella che dà sul fiume, costituivano una sorta di banchine per l'attracco di imbarcazioni fluviali. Qui pervenivano merci e viveri. La dieta quotidiana dei religiosi è stata ricostruita, invece, indagando gli scarichi delle cucine, dove gli studiosi hanno rinvenuto ossa di uccelli e pesce (cefali, orate, trote ed anche anguille). C'è da ricordare, inoltre, sempre per la "dieta monacale", che S. Vincenzo al Volturno possedeva peschiere situate nlle lagune pugliesi di Siponto e Lesina.