Sabbia fra le dita – racconti brevi di Iannozzi Giuseppe

Creato il 31 luglio 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

di Iannozzi Giuseppe

Bisticci

“Fa freddo.”
”Vuoi che ti stringa a me?”
“No. Piuttosto morta.”
”Dici sul serio?”
”Certo.”
”Ma un momento fa avevi detto d’amarmi!”
“Ti amo ancora.”
“E allora?”
”Sei così cieco da non renderti conto. Ma è anche per questo che ti amo.”
“Allora lascia che ti stringa almeno un po’. Ma che significa che non…”
“Oh, sei così tenero!”


Capricci

L’orologiaio sapeva d’esser un eterno poeta del tempo. Ma dispetto gli veniva dagli ingranaggi inceppati che riparava e che sempre tornavano a rompersi per essere sostituti.
Impazziva l’anima per un tempo che fosse perfetto. Invano però. Solo la clessidra e la sua sabbia gl’erano fedeli, tranne quando troppa era l’umidità. S’affidava allora alla meridiana e alla sua ombra, tranne quando il cielo era negro sudario di nuvole in tempesta. L’orologiaio sapeva d’esser anche un poeta, ma il tempo – coi suoi capricci – gli remava sempre contro. Il tempo non lo credeva un poeta, il tempo lo giudicava un volgare meccanico.

Un appunto

Si strinse nelle spalle. Osservò la foto che lo ritraeva: era lì, in vetrina. Non gli piaceva.
Adesso gliel’avrebbe cantata: un appunto di unghie e sangue. Per la Morte esposta alla Fiera delle Atrocità.

Le due morti di Lord Byron

Lord Byron sedeva in un angolo. Un nodo alla gola gl’era cappio che lo mortificava in quello che ormai sapeva esser prodromo d’una presta morte. Continuava a ripetere: “Anna Isabella… La sua prima passione la donna ama il suo amante, in tutte le altre ciò che ama è il suo amore.” Lord Byron moriva stringendo al petto l’imago d’un angelo. Ma sognando, col cuore e la mente, i ribelli e la causa greca che abbandonava.

L’ago

Rincasò ch’era già tardi. La stanza vuota. La ragazza guardò la siringa quasi nascosta nell’ombra d’un angolo: non ricordava quando l’aveva usata l’ultima volta, ma l’ago non era ancora arrugginito. Il problema era trovare una vena che fosse buona e i soldi per una dose. L’avrebbe data via, ancora un’altra volta, la figa. Per il domani c’era ancora vuota speranza, come sempre. Come sempre, la vita l’avrebbe data via.

Il rosso che divora

Depose la penna come se fino ad allora avesse tenuto in mano una spada insanguinata. Era stanco. I fogli erano tanti, di fronte a lui, come morti sventrati. Non era soddisfatto di sé, né del suo lavoro. Sfilò una sigaretta dal pacchetto: e iniziò a fumare, poi con il mozzicone ardente diede fuoco ai fogli che aveva vergato. E rimase ad ammirare il fuoco. Se solo fosse stato capace di descrivere quel rosso che divorava… Ah, che grande scrittore sarebbe stato!


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