Sacconi dovrebbe spiegarci quali lavori manuali andrebbero rivalutati. Gli artigiani stanno chiudendo perché seppelliti dall’offerta di prodotti a basso costo fabbricati in serie e all’estero. Le grandi fabbriche hanno robotizzato quello che potevano e hanno trasferito gli impianti che potevano all’estero. Le aziende agricole campano sugli aiuti comunitari, sull’impiego di macchinari e la gran parte di quello che mangiamo arriva da paesi del terzo mondo deforestati e depredati della loro terra. Rimangono i ristoranti, i bar e la prostituzione.
E’ una decina di anni che tutte le grandi città industriali e manifatturiere, europee e americane per affrontare questo processo stanno puntando tutto sulla cosiddetta economica della conoscenza. Ma in Italia le parole d’ordine sono rivalutare il lavoro manuale e con la cultura non si mangia.
Insomma non si riesce (o non si vuole) riconvertire l’economia di un paese in crisi e si scarica la colpa su i genitori che iscrivono i figli al liceo o sui professori che li incoraggiano a studiare anziché andare a lavare macchine alle stazioni di servizio all’età di 14 anni.
Nel mondo ideale del nostro Ministro del Lavoro le scuole e le università dovrebbero sfornare esattamente il tipo ed il numero dei lavoratori necessari all’economia del paese. Esisteva un sistema che funzionava cosi. Ogni 5 anni veniva elaborato un piano. Si stabiliva di cosa e di chi c’era bisogno e si organizzava tutto il sistema produttivo e educativo del paese in base a quel piano. Il piano si chiamava Quinquennale. Il paese si chiamava URSS.