Sacerdoti a spese pubbliche. Se Dio lo paga Cesare
Creato il 13 gennaio 2014 da Margheritapugliese
In tempi di crisi l’albero della sanità emiliano-romagnola è sempre più spoglio di foglie e frutti, così spoglio che adesso i rami secchi, una volta coperti da quelli rigogliosi, sono ben visibili. E com’è giusto che sia, in tempi di crisi, i rami secchi vanno tagliati, rami che avremmo dovuto tagliare subito, prima che marcissero, ma quando i frutti sono abbondanti nessuno se ne cura. Uno dei rami secchi di recente scoperta, è quello delle convenzioni siglate dalle aziende ospedaliere e sanitarie locali con gli istituti religiosi. Convenzioni che prevedono oneri, tutt’altro che trascurabili per le casse pubbliche e che sollevano non pochi dubbi, non tanto sulla legalità dell’operato (le convenzioni sono previste da apposite leggi statali e regionali) quanto sulla liceità di spendere soldi (pubblici) per un servizio non sanitario dedicato solo ai pazienti (molto ndr) cattolici. Perché non è un dettaglio trascurabile che le convenzioni finora stipulate vedono attori esclusivamente cattolici, alla faccia della laicità (e imparzialità) delle istituzioni e in barba ai non cattolici, ai non credenti e agli stessi cattolici che apprezzano la separazione (anche finanziaria) tra Stato e Chiesa. Tutti soggetti che, indistintamente, con le loro tasse contribuiscono a pagare un servizio dedicato giocoforza ad una elite di pazienti: i pochi cattolici che decidono di usufruire del servizio.
Nessuna dittatura laica, nessun bieco ateismo di Stato, chi vuole l’assistenza religiosa, ha tutto il diritto di riceverla ma se la paghi.
C’è dell’altro. Gli assistenti religiosi scelti arbitrariamente dall’ente religioso che ha stipulato la convenzione (sulla cui preparazione e competenza non esprimiamo giudizi) sono inquadrati come infermieri professionali. I relativi compensi (arrotondati, non si sa perché, all’eccesso), inoltre, non vengono elargiti direttamente agli assistenti religiosi, come avveniva fino a una decina di anni fa. Oggi vengono versati all’ente religioso che ha stipulato la convenzione. Se da tali importi vengano sottratte delle “commissioni”, naturalmente, non è dato di saperlo essendo gli enti religiosi molto attenti a proteggere i segreti di chi si confessa ma anche di chi versa e preleva (IOR docet).
Sarebbe interessante capire per quali ragioni nessun ente religioso diverso da quelli cattolici ha siglato convenzioni con le ausl e gli ospedali. Ritengo improbabile che non ne fossero a conoscenza, altrettanto improbabile che le rispettive dirigenze confessionali (salvo qualche eccezione) fossero ideologicamente contrarie all’idea di stipendiare alcuni dei loro “funzionari” a spese della collettività. Molto più probabile (ma tutta da dimostrare) l’ipotesi della solita complicità tra chi si occupa di ciò che è di Dio ma per farlo ricorre all’aiuto di chi si occupa di ciò che è di Cesare.
Umberto Bosco