Visto al cinema
Non una storia, non un racconto unitario; ma neppure un insieme di storie che creino un affresco; questo Sacro GRA è qualcosa di più e qualcosa di meno. Una serie di persone e di personaggi, tutti autentici, ma tutti ripresi con un’attenzione da film di finzione. Non dei racconti, ma degli squarci di vita che, sommati gli uni agli altri, per accumulo, danno un’idea, un mood, una ritmo che dovrebbe essere quello della vita attorno al raccordo.
Non ne so molto di documentario, ma questa mi sembra un’idea nuova. Non si parla di concetti da spiegare, luoghi da mostrare o storie di persone; c’è un paesaggio umano e culturale. Un tipo di documentario nuovo che non ha nulla in comune con l’altro innovazione di Moore (non c’è una tesi, non ci sono interviste, non c’è la presenza del documentarista come trait d’union); ma neppure un documentario alla Herzog (fatto di persone/personaggi spiegati, esplosi, in relazione al paesaggio, ma rimangono loro, o il loro rapporto con l’ambiente ad essere il centro di tutto). Qui no, qui c’è una visione entomologica degli uomini, un documentario sul modello di quelli della National geographic, ma senza voce fuori campo; dove l’animale uomo viene mostrato. In una parola una versione moderna del neorealismo.
Detto ciò, il film ha un passo un poco lento ed aspirazioni troppo vaghe per riuscire a convincermi del tutto. Lo considero un buon tentativo.