Si è aperto il 1° Febbraio 2013, il processo a Rabat, in Marocco, di 24 imputati in seguito dei violentissimi atti barbari di omicidi e di vandalismo che ha conosciuto la città del Laayoune.
Si tratta di un processo normale in un paese sovrano e democratico, pur fiduciosi nella magistratura marocchina, le famiglie delle vittime chiedono che la giustizia sia fatta.
Gli avvenimenti prendono data dell’autunno 2010 quando un gruppo di abitanti della città di Laayoune (Marocco) ha montato tende nella zona di Gdim Izik per rivendicazioni sociali, casa, lavoro, benefici delle carte di Promozione Nazionale e la costruzione di una superstrada
Agadir – Laayoune.
Le autorità pubbliche marocchine avevano permesso agli organizzatori di esprimersi liberamente le loro rivendicazioni a carattere sociali partendo dalla considerazione che questa forma di manifestazione si inserisce nel quadro della libertà d’espressione, a condizione che non sia portata alla minaccia della sicurezza e all’ordine pubblico e che ci vuole affrontare le rivendicazioni con dialogo costrittivo, credibile e responsabile.
Le autorità pubbliche avevano, altresì, permesso che l’accampamento resta aperto, e hanno assicurato tutti i bisogni degli occupanti, acqua, medicine, antenna medicale e servizio di pronto soccorso tenendo che l’accesso e la circolazione siano libere all’interno e all’esterno dell’accampamento.
Un dialogo quasi quotidiano è stato tenuto tra i protestanti e le autorità e diversi accordi di carattere sociali sono conclusi.
Da evidenziare che l’accampamento ospitava diverse categorie di persone: famiglie povere e precarie, ma anche persone ricercate, in più, un gruppo di opportunisti che ha stabilito la sua impresa sugli occupanti e hanno iniziato ad agire in modo malintenzionato al riguardo delle autorità per fallire il dialogo e gli accordi intrapresi.
Nell’accampamento si sono formate milizie composte da elementi pericolosi che hanno fatto ricorso all’intimidazione, la minaccia e alla violenza fisica e psichica contro le persone nell’accampamento, in particolare contro gli anziani, donne e bambini per impedirli di andare via e di smontare le tende, e contro i giornalisti, la mass media nazionali ed internazionali, gli eletti e le autorità locali.
Davanti a questa situazione, e dopo l’esaurimento di tutte le vie del dialogo e del regolamento pacifico, le autorità locali sono state costrette a ricorrere alla forza pubblica per stabilire la legge e far rispettare l’ordine pubblico, evacuare l’accampamento e procedere ad arrestare le bande.
Durante l’organizzazione dell’intervento, infatti, era stata presa la decisione di ritirare le armi da fuoco alle forze dell’ordine che erano state preparate psicologicamente per un intervento pacifico nei confronti dei manifestanti civili.
L’intervento delle forze dell’ordine si contrasto però con una resistenza feroce di milizie ben addestrate che hanno usato bombe Molotov, bombole del gas, armi bianche d’attacco, bombe a mano, sassi … dispositivi incendiari, macheti, e con un piano di attacco ben definito, e questo ha provocato delle pesanti perdite nelle fila delle forze dell’ordine.
Malgrado la violenza usata dalle milizie, le forze dell’ordine hanno proceduto all’evacuazione dell’accampamento e al smantellamento delle tende in una ora di tempo.
Alcuni gruppi hanno trasferito le manifestazioni e i confronti nella città di Laayoune che ha vissuto incendi di casi, beni pubblici e beni privati.
Inoltre, vi è stato un altro morto nella città di Laayoune dove un elemento della forza pubblica che tentava di interporsi è stato barbaramente assassinato con arma bianca dai vandali che ne hanno profanato le spoglie.
Nel corso di questi ignobili atti di terrorismo e di violenza morirono 12 persone delle forze dell’ordine e dei volontari della Protezione Civile e 70 feriti tra cui alcuni gravissimi e nessuno dei manifestanti.
NB
Sulla richiesta degli avvocati dei presunti assassini degli elementi delle forze dell’ordine, il tribunale permanente delle Forze Armate Reali, ha accettato il rinvio del processo al 8 febbraio prossimo.
Yassine Belkassem**Coordinatore della Rete delle Associazioni della Comunità Marocchina in Italia (RACMI) e SG della Federazione Africana in Toscana
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