Salo' o le 120 giornate di sodoma

Creato il 14 novembre 2015 da Veripaccheri
Salò o le 120 giornate di Sodoma
di Pier Paolo Pasolini
con Paolo Bonacelli, Giorgio Cataldi, Aldo Valletti
Italia, 1976
genere, drammatico
durata, 126'

Quattro signori, il Duca, il Monsignore, Sua Eccellenza e il Presidente, al tempo della Repubblica Sociale di Salò si riuniscono in una villa con 4 ex prostitute, ormai non più giovani, e un gruppo di giovani maschi e femmine catturati con rastrellamenti dopo lunghi appostamenti. Nella villa i Signori per 120 giorni potranno assegnare loro dei ruoli e disporre, secondo un regolamento da essi stessi stilato, in modo assolutamente insindacabile, dei loro corpi. La struttura del film è divisa in 4 parti: Antinferno, Girone delle Manie, Girone della Merda e Girone del Sangue. Dopo la Trilogia della vita (Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una Notte), Pasolini sente la necessità di affrontare un'opposta, tragica lettura dell'uso della sessualità. Questa volta, ispirandosi all'opera del marchese De Sade, condanna il potere di ogni tempo, non solo quello fascista.
"Ora tutto si è rovesciato. Primo: la lotta progressista per la democratizzazione espressiva e per la liberalizzazione sessuale è stata brutalmente superata e vanificata dalla decisione del potere consumistico di concedere una vasta (quanto falsa) tolleranza. Secondo:anche la "realtà" dei corpi innocenti è stata violata, manipolata, manomessa dal potere consumistico: anzi, tale violenza sui corpi è diventato il dato più macroscopico della nuova epoca umana. Terzo: le vite sessuali private (come la mia) hanno subìto il trauma sia della falsa tolleranza che della degradazione corporea, e ciò che nelle fantasiesessuali era dolore e gioia, è diventato suicida delusione, informe accidia". Così siesprimeva il regista in un suo testo del 1975, pubblicato postumo.
Rilette oggi, queste sue parole assumono un valore chiarificatore sugli intenti di un film che cerca lo scandalo e insiste sui particolari più turpi. Nonostante la motivazione, la reazione non si è fatta attendere: si voleva far scomparire per sempre l'opera dalle sale. Proiettato a Parigi per laprima volta a 20 giorni dall'uccisione del suo autore, il film subì sequestri e dissequestri, ma la sua libera circolazione fu sancita solo dieci anni dopo. Il degrado delle mura entro il cui perimetro si svolgono le azioni ci mostra, grazie al mirabile apporto dello scenografo italiano Dante Ferretti, non solo i segni lasciati dal tempo sull'edificio, ma anche, e soprattutto, quelli ben più significativi di un disfacimento acui sembra impossibile porre rimedio. Quello di Pasolini si pone come un grido di allarme disperato. La mercificazione dei corpi e del sesso sarebbe divenuta, negli anni successivi, sempre più invasiva sotto le mentite spoglie di una apparente libertà. Da parte di alcuni si è voluto leggere il film come una sorta di testamento di Pasolini alla ricerca della morte, ma si tratta, di fatto, di una lettura a posteriori e non necessaria per comprenderne la forza dirompente di un requiem per una civiltà che ormai non è più tale. Salò può sembrare monotono, ripetitivo, a suo modo didascalico, e moralistico come, necessariamente, diventa una rappresentazione che cerchi di ricalcare la struttura dell’inferno.
In tutto il film prevale un unico organo genitale: il fallo. La supremazia del fallo è propria della fase evolutiva che Freud chiama fallica. I personaggi sembrano fissati a questo stadio, nel quale il bambino non conosce ancora la differente costruzione dei sessi.Questa immaturità è confermata dal fatto che nel film non vi è conclusione, così come avviene nella realtà in ogni forma di sessualità perversa o deviata nell’oggetto. In Salò soggettivo e oggettivo, in precedenza tenuti separati nell’intera produzione filmica pasoliniana, si ricompongono come una massa compatta, senza alcuna possibilità diriscatto e, ancor meno, senza alcuna sublimazione. Infatti, esso segna un autentico taglio epistemologico. Non più il mondo da un lato e la coscienza infelice dall’altro, bensì una scrittura che abbraccia tutto, i dettagli e l’insieme, che, metaforicamente, rimuove ogni speranza, implicando tutti nel tetro universo che descrive e che preclude un qualunque alibi e conforto.
Riccardo Supino

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