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Salone del Libro di Torino, 18/05/15: presentazione dell’antologia “Poeti della lontananza”

Creato il 04 maggio 2015 da Criticaimpura @CriticaImpura

poeti1Poeti della lontananza

Presentazione dell’antologia poetica curata da Antonella Pierangeli e Sonia Caporossi

Presentazione del libro a cura di Marco Saya Edizioni

Lunedì 18 maggio, ore 17.30, Sala Avorio

Partecipanti:

Sonia Caporossi
Antonella Pierangeli
Michele Porsia
Marco Saya
Francesco Terzago

http://www.salonelibro.it/…/8096-Poeti-della-lontananza.html

Sono sette, numero sacro. Sette versificatori diversissimi per tenore compositivo, stile, forma e contenuti, eppure sette voci ultracontemporanee che emergono dal panorama letterario italiano come vessilli di possibilità espressive legate dal medesimo filo conduttore: il vivere o l’aver vissuto, per lungo tempo, per un po’ o per sempre, in un paese diverso da quello d’origine e avere fatto di questa lontananza una condizione esistenziale direnta e fatta salva dalla propria volontà artistica e dalla propria produzione poetica. L’avere assunto la nostalgia delle cose lontane amodus sentiendi, la vis passionale come forma di aisthesis e di sensuale salvezza, la riflessione e la partecipazione al mondo globalizzato, nonché l’attenzione alle culture e alle letterature di altri tempi e paesi come ideale cosmopolita e la meditazione sull’amore, sulla societas umana, sulla vita e sulla morte come chiave del cor di Federigo è ciò che li accomuna e li definisce in quanto poeti che, all’interno della nostra letteratura, cantano la condizione, straniante ma al tempo stesso salvifica, dello sradicamento. Omar Ghiani, Domenico Arturo Ingenito, Francesco Terzago, Antonio Bux, Ianus Pravo, Michele Porsia, Alessandro De Francesco. Sette poeti della lontananza. Sette poeti dell’esilio. Sette rappresentanti ed ermeneuti di qualsiasi lontananza ed esilio, di qualunque condizione outsider, di qualsiasi forma di orfananza. Ma anche, più semplicemente, sette poeti che, nelle forme e nelle modalità più disparate, scrivono lontani da casa. Se per il Leopardi dello Zibaldone la ricordanza è una condizione già preproustiana, non la rappresentazione di un quid, ma “una ripetizione, una ripercussione o riflesso della immagine antica” (Zib. 515, 16 gennaio 1821), potremmo dire parimenti che per i nostri poeti la lontananza non è una rappresentazione pura e semplice, bensì è un sentimento che sembra fungere da “ponte fra intelletto e ragione” (lo direbbe il Kant della Critica del Giudizio), cioè da luogo di passaggio metaconcettuale tra la dimensione teoretica e quella estetica e che esemplarmente ci permette il sentire, l’esperire e il partecipare proprio in quanto esseri senzienti all’autocoscienza e alla successiva conoscenza elaborata, concettuale, verbalizzata, dell’esserci. È così che le figure topiche della lontananza, come l’addio, la morte, la solitudine, l’amore, il pentimento, la follia, l’estraniamento, la nostalgia di un passato imposseduto e di una società mitica che non c’è più, assumono valore emblematico di catarsi e catabasi nei poco asettici inferni dell’Io e dell’altro da sé. E tuttavia, si tratta di argomenti che nei testi di questi poeti non vengono affatto abbandonati nell’esclusiva dimensione di un lirismo tradizionale incentrato sulle percezioni esclusive del soggetto, nemmeno in coloro che appaiono meno sperimentali e più legati ad una impostazione classica del versificare; vengono bensì rivissuti, alla luce della  contemporaneità, attraverso una sensibilità rinnovata, assumendo un pieno e cogente valore euristico giacché, attraverso di essi, possiamo indagare l’esemplarità stessa dell’esistenza.

(dalla Prefazione di Sonia Caporossi)

La poesia della lontananza è la poesia della rarefatta assenza, della perfetta atemporalità in cui ogni tentativo di fuga dal reale, fisico e immaginario che sia, diviene impossibile perché ovunque si portino lo spaesamento e la dispersione randagia dell’esistenza, sulla montaliana “sfera lanciata nello spazio”, si materializzerà, dissonante e sublimato, quell’amor de lonh che possiamo definire lo stato dell’animo poetico che immanentemente domina questa raccolta. La sublimazione di questo amore che s’incarna nel mito dell’amor de lonh, è rivolta infatti all’impossibilità di integrare nell’altrove geografico, esistenziale, ideologico, emozionale, una mancanza: una sorta di afasia del pensiero che appare come l’asse metaforica di un alfabeto emotivo, la quale rinvia a significati più profondi, a relazioni insospettate che aspettano di diventare evidenti. Qui infatti il pensiero, quello che leopardianamente non teme se stesso e non si cura degli approdi, diviene il grande demiurgo della parola. Il pensiero che diviene poietico, che fa della forza germinante della distanza fisica la capacità rivelatrice della distanza psichica. La poetica della lontananza diviene, dunque, poetica dell’insondabile assenza: assimilabile, mutatis mutandis, a quella infiltrata in molta poesia simbolista e postsimbolista (si pensi, ad esempio, all’ermetismo). L’egemonia pulsionale che  domina l’ispirazione dei testi qui raccolti, identificabile con ciò che possiamo definire con il termine provenzale razo, è infatti un disperato sentimento di privazione che alimenta l’istanza perennemente inappagata di congiungimento dell’Io con l’Altro, sentito come termine di un irraggiungibile quanto agognato equilibrio. Uno status della coscienza che potremmo chiamare di derelizione, non empiricamente rivolto verso una persona reale o una situazione esistenziale ma, per così dire, consustanziale e ontologico: segno di un destino ineludibile, simboleggiato dalla perdita. Tale stato d’animo, emergendo dal profondo alla luce della coscienza, si verbalizza nell’archetipo fonico lonh. È questo infatti il nucleo generativo dell’ispirazione dei testi di questi poeti, la matrice espressiva che genera un campo semantico immaginabile soltanto in una duplice pulsionalità: come luogo della materialità della vita empirica e nello stesso tempo luogo ideale dov’è l’oggetto dell’istanza poetica; veri e propri centri gravitazionali, dunque, di due costellazioni sinonimiche contrapposte, attivate dalla proliferazione lessicale che i loro impulsi contrastanti producono nella scrittura.

(dall’Introduzione di Antonella Pierangeli)


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