La più bella barzelletta che gli ho sentito raccontare, per adesso – ma aspetto miglioramenti in merito – è stata la famosa “lettera aperta agli operai”: «Scrivere una lettera è una di quelle cose che si fa raramente e solo con le persone alle quali si tiene veramente». Inizia così il suo “appello” all’unità della ditta. Certo, considerando tutti i licenziamenti politici di questi giorni e le migliaia di operai messi in cassaintegrazione e che con la dipartita della FIAT in direzione Kragujevac (Serbia) quel “persone a cui si tiene veramente” mi suona un po’ strano. Ma Marchionne è americano, forse ha problemi con la lingua italiana. Dunque andiamo avanti…Tralasciando quel «vi scrivo da uomo» che mi ricorda tanto un certo calciatore che qualche anno fa si definì «più uomo di tutti voi messi insieme» di fronte ad un’incredula folla di giornalisti per poi fare una figura miserrima nei campionati successivi, mi viene da ridere quando – memore del concetto di “fabbrica come grande famiglia” che andava di moda in Italia qualche decennio fa – fa sapere agli operai che di lì a breve licenzierà che proprio quella lettera è il modo più «diretto ed umano che conosca per dire le cose come stanno». Si vede che io i Padroni non li ho mai capiti, visto che credevo che il metodo più diretto e umano che avessero per dire le cose come stavano fossero sì le lettere, ma quelle di licenziamento! Sul finire della lettera poi, come nelle migliori delle rappresentazioni, arrivano i fuochi d’artificio: «Non abbiamo intenzione di toccare nessuno dei vostri diritti, non stiamo violando alcuna legge o tantomeno, come ho sentito dire, addirittura la Costituzione Italiana». Lo ammetto: questa è davvero buona, quasi quasi è meglio di «stiamo sconfiggendo la criminalità organizzata» che ogni tanto ci sentiamo ripetere dalla Premiata Ditta di Governo…L’invito all’ “onor di bottega”, poi, è squisito: «Questa è una sfida tra noi e il resto del mondo.Ed è una sfida che o si vince tutti insieme oppure tutti insieme si perde
». Certo, che poi uno continui a guadagnare 4,78 milioni di euro (di cui 1,35 di bonus per il “buon lavoro svolto”) mentre gli altri, quelli che la FIAT l’hanno fatta grande guadagnano tra i 1200 ed i 700 euro è solo un “piccolo ed insignificante” dettaglio di cui, ovviamente, l’uomo che tiene il timone si dimentica. Ma per chi tutti i giorni si alza con lo stress per capire quanti licenziamenti di delegati FIOM bisognerà fare per tenere in perfette condizioni la macchina di “Fabbrica Italia” una piccola dimenticanza ci può stare, no?C’è poi una cosa che non capisco di questo paese: una certa parte si lamenta del male del comunismo per poi applicarne i diktat nella maniera più ossessiva possibile. Prendiamo ad esempio il premier: dice che i comunisti sono la cosa peggiore che possa capitare per poi censurare i giornalisti come Putin in Russia (non certo patria del liberalismo…), tentare di bloccare la rete come in Cina (idem…) squalificando i propri oppositori. Non ha ancora raggiunto il livello delle Grandi Purghe staliniste – se non forse con quello che qualche buontempone ha osato definire “compagno” Fini – solo perché l’idea gliel’ha già fregata Sergio l’americano. Come definire in altro modo, d’altronde, i reparti di confino in puro stile Valletta od i licenziamenti politici di delegati FIOM di questi giorni? Se al leader sovietico le purghe erano servite per ripulire il Partito Comunista dagli oppositori, qual è la differenza con la nuova politica adottata da Marchionne in FIAT (se non quella che probabilmente Sergio l’americano non ha mai salutato a pugno chiuso)?
Prendiamo la storia di Pino Capozzi, da due anni al settore Engineering&Design del Lingotto licenziato per
Non so se esiste – considerando che non sono un esperto di leggi ed ancor meno di quelle sindacali – ma qualora non esistesse non si potrebbero cercare le firme per creare una sorta di reato che configuri il “venir meno del rapporto di fiducia e tutela tra sindacati e lavoratori” da applicare ai collaborazionisti Angeletti e Bonanni? Avrei in mente anche il modo di fargli espiare la pena (escludendo quelli che riporterebbero il paese ai tempi della Resistenza Armata degli anni ‘70) ed escludendo il carcere: mandarli alla catena di montaggio – da soli – alle condizioni che tanto auspicano per gli operai FIAT, con addirittura il segretario UIL che definisce giusti i licenziamenti politici di questi giorni. Voglio fare una domanda ai tesserati della Cisl e della Uil: come cacchio fate a farvi rappresentare da gente del genere? Non viene anche a voi, ogni volta che li vedete, l’istinto di tirargli qualcosa di molto pesante dietro come succede a me quando li vedo in televisione? Come fate, ogni anno, a rinnovare la tessera di questi sindacati che stanno sperimentando le tecniche sadomaso nel rapporto col Padrone? Sarà che forse, da studente, certe dinamiche ancora non mi sono del tutto chiare, ma io davvero faccio fatica a comprendere.
Capisco invece - alla perfezione - il +6,41% che l’operazione “Purghe S.p.A.” ha portato al titolo del Lingotto nei giorni scorsi e che, a volerlo leggere in maniera meno finanziaria e un po’ più sociale significa tante banconote in più sul già ricco conto di Marchionne, Montezemolo (il cui ultimo “stipendio” percepito si aggirava sui 5,17 milioni di euro) e soci – di maggioranza – vari e tante, tantissime preoccupazioni in più per gli operai e tutti i lavoratori e le lavoratrici dell’indotto.
«La capacità di sopportazione degli uomini è quasi infinita. La rivolta nasce quando si apre un circuito di identificazione collettiva a cui le élites organizzate forniscono simboli e linguaggi. Ma c'è stato uno sterminio delle culture antagoniste» sostiene Marco Revelli dalle pagine de Il Manifesto. Ed è forse tutto qui – per quanto non sia certo un problema di poco conto – che sta il famoso bandolo della matassa. Continua Revelli: «I diritti degli operai sono sacrosanti. Però. Laddove la maggioranza della popolazione attiva, soprattutto giovanile, non conosce diritto di sciopero e di malattia, questa battaglia non rischia di essere persa in partenza perché poco sentita?». Dicono sempre che la fortuna di noi giovani sia quella di essere una generazione “post-” qualcosa: una generazione post-conflitto bellico, post-sessantotto, post-muro di Berlino etc etc. Ma siamo sicuri sia davvero una fortuna? Le nostre compagne ed i nostri compagni che salirono sulle montagne o che occuparono le università magari erano singolarmente meno coscienti del clima in cui di lì a poco li avrebbe ingoiati. Però, a differenza nostra, loro impararono ben presto a ragionare al “noi”, perché impararono che il nemico che gli si presentava di fronte – che fosse il potere fascista o quello borghese dei sistemi istituzionali più diversi degli anni della contestazione, da quello politico a quello universitario passando per quello familiare – non lo si poteva sconfiggere ragionando alla prima persona singolare. Noi, invece, stiamo crescendo nel modello sociale che fa dell’individualismo uno dei fondamenti principali del suo essere, in cui tutti i diritti (sociali, politici…) sono già stati acquisiti da decenni e, di fatto, non abbiamo grandi battaglie da combattere a livello generazionale. Ieri sera ho guardato “Il Grande Sogno”, il film di Michele Placido sulla sua “prima vita”, quella di giovane poliziotto col sogno della recitazione. Ora, tralasciando la cornice da Romeo e Giulietta alla quale secondo me è stata data eccessiva importanza, tanto che ad un certo punto credevo che il titolo si riferisse non al Sogno – con la maiuscola - di una generazione intera di ottenere un mondo migliore quanto al sogno
Sono sempre più convinto che qualcosa, prima o poi, accadrà. Perché non possiamo accettare tutto quello che stiamo sopportando nelle fabbriche, con gli operai che non devono essere altro che ingranaggi perfetti della macchina capitalista e sottostare alla logica del produci-consuma-non lamentarti-crepa. Non possiamo sopportare oltre quello che stiamo subendo nelle università, con la distruzione quotidiana proprio di quelle vittorie sociali ottenute con la Resistenza proletaria degli anni ‘70. Dobbiamo però ricominciare a ragionare su un modello alternativo che torni ad anteporre il “noi” all’ “io”. Dobbiamo ricostruire una nuova coscienza di classe, insomma. Una nuova coscienza di classe che sia, come fu in “quei formidabili anni” – per citare l’allora leader del Movimento Studentesco Mario Capanna – con una forte matrice internazionale. Non abbiamo più granché da perdere, e quel che ci è rimasto ce lo continueranno a portare via per legge un pezzo alla volta. Ce l’hanno detto anche gli operai di Tichy: è ora di cambiare.