Durante i terremoti e le alluvioni muoiono e restano feriti anche gli animali non umani. Così come anche durante le guerre. Nei paesi sviluppati (mi si passi il termine) esistono sia corpi pubblici specializzati in salvataggio, come gli storici pompieri e la più recente Protezione Civile, sia gruppi di volontari zoofili che potrebbero – uso il condizionale – intervenire a salvare gli animali.
Il comportamento di tutti questi personaggi, in caso di emergenza ambientale, varia. L’occidente non ha il monopolio della zoofilia, con conseguente intervento volto a salvare gli animali in caso di necessità, ma anche l’India ha un’antica tradizione, per motivi religiosi, di compassione verso tutte le creature, tanto che esistono in quel subcontinente ospedali per uccelli e mammiferi, fondati quando ancora in Europa discutevamo se le donne avessero diritto al voto.
Nel 2004, in seguito allo spaventoso tsunami che devastò l’Indonesia, fece il giro del mondo l’immagine di un bufalo completamente immerso nel fango, da cui non poteva liberarsi. Da noi ci fu più di qualche animalista che imprecò contro la popolazione locale perché non faceva nulla per tirarlo fuori, dal momento che ognuno pensava a rintracciare i propri familiari smarriti o a salvare le poche cose che la furia dell’acqua aveva risparmiato. Questo esempio può essere preso a paradigma di quanto valgono, nella mente degli esseri umani, gli altri animali. Durante le calamità naturali, i vigili del fuoco e la Protezione Civile sono impegnati a portare soccorso agli esseri umani e per gli animali non hanno tempo, mentre gli animalisti possono trovare il tempo per salvare gli animali in difficoltà, magari
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