L’arte del Maestro, dagli esordi nella pittura di battaglia e di paesaggio, cui l’aveva iniziato A. Falcone, maturò poi un cambiamento in senso classicista sotto l’influsso di Testa, Lorrain e Van Swanewelt. Virò quindi verso una concezione “pittoresca”, di taglio “preromantico”. Infine l’artista definì una cifra solenne e nostalgica dell’antico, ricorrendo pure a motivi emblematici come teschi e scheletri. Il repertorio di severi temi mitologici e biblici, sostanziati da ideali moralizzanti, contribuisce a creare nelle sue opere atmosfere cupe e misteriose, di “orrida bellezza”. La raffigurazione della natura, deserta e selvaggia, esalta la solitudine ed i turbamenti dell’uomo. Discusso nel suo tempo, magnificato dalla critica (soprattutto britannica) del secolo XIX e considerato in Italia, fin quasi ai giorni nostri, un precursore della sensibilità romantica (anche per gli aspetti ribelli ed anticonformistici del suo carattere), Rosa esercitò un forte influsso sulla pittura partenopea, sebbene non gli si possano attribuire veri e propri allievi. Il paesaggio e le rappresentazioni di combattimenti furono i soggetti che più spesso furono imitati.
“Nulla di mistico né di austero in questo vegliardo che, distolto dalla meditazione, si rotola e si torce all’assalto di iperbolici mostri che, partoriti dalle elucubrazioni medievali, ma poi confinati nell’iconografia nordica, di là tornano a sostituire la bella donna cui la tradizione nostrana affida volentieri il compito di rappresentare in sé tutte le tentazioni. Nessuno spirito religioso e nessuna seducente nudità, ma incubo notturno, pauroso, ossessivo: una di quelle ‘stregonerie’ delle quali il Rosa ebbe a compiacersi e che furono ambitissime dagli amatori”. (G. V. Castelnovi)
La possente, bizzarra fantasia di Rosa è all’origine della spaventevole allucinazione né difettavano gli antecedenti iconografici per la pittura delle macabre entità che assediano il santo. Il gusto barocco per l’eccentrico ed il cupo contribuiscono all’orrida visione. Nondimeno s'intravede forse in questo quadro stravagante l’impronta di una percezione di là dalle parvenze: così il demonio ossuto che, in primo piano sovrasta l’asceta, pare davvero essere uscito da una plaga infernale, da un mondo popolato di esseri malefici. La testa rostrata, dagli occhi corruschi, l’orrido collo arcuato, gli arti magri e nervosi, tesi sino allo spasmo nell’approssimarsi dello scatto letale, evocano simili figure che brulicano nelle avventate escursioni spiritiche e persino in certi resoconti xenologici.
Un’analogia (fortuita?) ci conduce, oltre che all’immaginario cinematografico degli alieni scottiani, al gigante del più che controverso caso materializzatosi in quel di Mortegliano.
L’immaginazione come finestra sull’ignoto.
[1] Una copia del quadro è custodita nella Pinacoteca Rambaldi di Coldirodi (Sanremo). E’ una riproduzione che, per quanto più sommaria nell’esecuzione rispetto all’originale, è di fattura decorosa.
Fonti:
AA. VV., La raccolta Rambaldi a Coldirodi, Sanremo, 2012
A. Chiumento, La creatura di Mortegliano, 2013
Enciclopedia dell’Arte, Milano, 2005, s.v. Rosa Salvatore
APOCALISSI ALIENE: il libro