Salvatore Settis e l'astratto modello americano/2. I musei

Da Silviapare
"E nel caso dei beni culturali? Anche in questo campo, il riferimento al modello americano, o meglio alla sua mitologia, sembra ineluttabile. È un riferimento che ha ottime ragioni: infatti, i musei americani spesso funzionano molto bene [non sempre, però], hanno molti visitatori, un attivo programma di mostre e di nuove acquisizioni (che talvolta, anche per le cifre in ballo, raggiungono le cronache), ottimi servizi per le scuole e le visite, una gestione dinamica, 'imprenditoriale'. Sarà questo il toccasana? Basterà trapiantare quel modello in Italia, e finalmente non saremo più 'arretrati'? [...] Per riformare le istituzioni del nostro Paese adottando modelli elaborati in un altro Paese (in un'altra realtà politica, in un'altra società, in un'altra cultura, con un'altra storia) occorre conoscere  ugualmente bene non solo la tradizione e la situazione italiana, ma anche quella del Paese-modello. [...] Che livello di compatibilità, di 'traducibilità' ha quel sistema con la nostra società, la nostra storia, le nostre istituzioni?Ora, se 'studiamo' l'Italia, ci accorgiamo di quanto diversi siano i nostri musei rispetto a quelli degli Stati Uniti. Ricordiamo alcune differenze: là, con la sola eccezione dell'arte contemporanea, dei parchi nazionali e dei musei sulle culture degli Indiani d'America, le collezioni dei musei non hanno alcun nesso storico con il territorio che li accoglie. [...] Da noi al contrario [...], i musei sono incardinati nel territorio, formano un tutto unico con le città e le campagne che li circondano: fra il villaggio abitato e il museo, fra la chiesa e il paesaggio, fra la città, fra la campagna, la villa non c'è soluzione di continuità, ma un'unica tessitura concresciuta nel corso dei secoli. Perciò il 'modello Italia' di tutela prevede che il patrimonio culturale sia tutto di interesse pubblico, anche se solo in parte di proprietà pubblica; mentre nulla di simile prevedono le leggi americane. Perciò la normativa italiana impone allo stato la tutela dell'intero patrimonio culturale della Nazione, quella americana no. [...] Perciò se un museo americano dovesse vendere un quadro di Tiziano non toglierebbe nulla alla storia, poniamo, della California; se lo facesse l'Accademia di Venezia, mutilerebbe la storia di quella città e dell'Italia. [...]Per ricordare solo un'altra differenza: i musei americani hanno, è vero, un'attiva politica di nuove acquisizioni, ma possono anche vendere le opere di loro proprietà. Per esempio nel 1972 il Metropolitan Museum, per comprare un prezioso vaso greco (il cratere di Eufronio) che era sul mercato per un milione di dollari, vendette la sua intera collezione numismatica; il Getty, dopo aver comprato in blocco una grande collezione di manoscritti medievali, ha deciso alcuni anni dopo di vendere tutti quelli senza miniature. Ci piace immaginare il Museo Nazionale Romano che vende tutte le sue monete per comprare, mettiamo, una statua 'piú importante'? La Biblioteca Laurenziana che vende alcuni manoscritti non miniati per comprarne altri da Sotheby's? Ma le monete del Museo Nazionale Romano sono state trovate nel suolo stesso di Roma, i manoscritti della Laurenziana furono per secoli e secoli raccolti e studiati (e in parte scritti) nella stessa Firenze: se il sistema italiano ne vieta (almeno finora) la vendita o lo smembramento, non è per via di norme arcaiche e obsolete, ma perché le nostre collezioni sono riflesso immediato e deposito memoriale della nostra storia. Ma, sebbene queste differenze siano evidenti, l'ossessione del modello americano è tale che buona parte del discorso sulla 'modernizzazione' del sistema italiano è puntato sui musei (anzi, sul museo-azienda), dimenticando il territorio in cui essi sono radicati (e le soprintendenze che vi hanno giurisdizione), col rischio gravissimo di spezzare il nesso museo-città-territorio che è il cuore della nostra cultura istituzionale e civile."
Da: Salvatore Settis, Italia S.p.A. L’assalto al patrimonio culturale, Einaudi 2002

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