Samuel – Una nascita indisturbata

Da Tiz

Già un mese è passato da quella mattina. Ci pensavo un paio di giorni fa e avevo i brividi nel ricordare quei momenti. Pensavo che davvero partorire in casa è pericoloso. E lo è ancora di più un parto non assistito, o meglio, auto-assistito…

Il 18 maggio mi alzo dal letto (ore 6.10) col mio pancione ormai enorme, vado subito in bagno e mi pare di sentire una piccola perdita. Ho troppo sonno per star lì a pensarci troppo, me ne torno in camera, ma prima di raggiungere la porta eccolo: un altro fiotto! Piccolo, ma sufficiente a farmi capire che, dopo i falsi allarmi delle ultime due settimane stavolta ci siamo, tra poche ore abbraccerò mio figlio!

Avviso Andrea, gli chiedo di spegnere la sua sveglia e quella di Tabita: spero che Samuel non impieghi troppo a nascere e magari i fratelli staranno ancora dormendo. Arriva una contrazione, il travaglio è partito. La rottura del sacco è alta, come per Febe, quindi il liquido esce poco per volta.  Raggiungo il salotto e chiamo Paola (ore 6.25), l’ostetrica che ha già accompaganto la nascita di Tabita in ospedale e quella di Febe qui in casa. Mi dice che partirà subito, è l’ora di punta, i quaranta minuti che ci separano a quest’ora diventano quasi il doppio!

Raccolgo i panni stesi sullo stendino, mi fermo durante le contrazioni, sono belle toste, mi piego appoggiando le braccia al bracciolo del divano, mi dondolo… Preparo due teli impermeabili, uno sul pavimento, uno sul divano. Provo a stendermi sul fianco sinistro… grave errore: il dolore della contrazione in quella posizione è terribile, non riesco quasi nemmeno a respirare, non vedo l’ora che si attenui e poi scatto in piedi.

Le contrazioni si susseguono, durano da pochi secondi a una trentina, le pause da 20 secondi a 3-4 minuti… la regolarità il mio utero non sa nemmeno cosa sia! Avevo deciso durante l’ultima ovulazione di capire meglio come funziona il mio corpo e da allora ho “monitorato” l’evolvere del collo dell’utero e così ho preso confidenza con questa parte del corpo così importante e sconosciuta…

Prima di chiamare Paola il collo dell’utero era ancora dove era sempre stato durante tutta la gravidanza… in alto, girato verso dietro (posteriore), ma era più corto, non ho il senso delle misure, ma certo si era raccorciato rispetto ai giorni precedenti. Ora (ore 7.00) provo a sentirlo di nuovo… lo individuo subito, è bello centrale e la depressione al centro si è allargata un po’, sembra un buchino del diametro forse di un dito.

Ora mi è chiaro che le cose stanno procedendo in fretta… le contrazioni sono davvero toste e inizio a perdere il controllo, a tirare le maledizioni che ho sempre lanciato a me e al mondo intero in quei momenti, durante tutti e tre i parti. Ma stavolta sono sola, in casa tutto è silenzioso, inginocchiata sul pavimento con la testa affondata tra i cuscini del divano chiedo aiuto e prego… Non amo parlare della mia Fede, ritengo sia qualcosa di estremamente personale. Ma da quando sono diventata mamma la figura di Maria ha assunto per me un significato nuovo. Ho pensato a quella giovanissima donna che, sola in chissà quale luogo, se capanna, grotta o altro, ha dato alla luce il suo Bambino. E così ad ogni contrazione Le chiedo aiuto… Sono felice, sta per avverarsi il mio sogno di sempre, fin dalla mia prima gravidanza, quello che, per paura di essere presa per folle non raccontavo a tutti: poter accogliere da sola il mio bambino.

Mi sposto tra salotto e bagno, mi sostengo al divano o alla lavatrice. Seduta sul water (ore 7.20) sento che la testina del mio bimbo all’improvviso scende… il bisogno di spingere è impellente, ma so, o credo di sapere che è ancora troppo presto. Penso che la sua testina sta spingendo per facilitare la dilatazione del collo dell’utero, non posso ancora spingere, ma il dolore è insopportabile. Rimango in piedi appoggiata alla lavatrice e trovo un buon compromesso: riesco a non contrastare la spinta, mi rilasso, ma riesco anche a non assecondarla. Così il dolore è di nuovo sopportabile.

Tento una nuova esplorazione (ore 7.25)… ma il collo dell’utero è scomparso. Al suo posto qualcosa di duro e rugoso. Ne cerco i confini e li trovo, anzi ne trovo una parte, ne seguo il profilo e capisco che quel “bordino” è il collo dell’utero… non riesco a sentire tutta la circonferenza… da quello che ho letto significa che la dilatazione è completa o poco ci manca!

Torno in salotto, mi inginocchio davanti al divano, una nuova contrazione arriva e io, mentre respiro a piena potenza mi accorgo che ad ogni espirazione spingo. Non voglio, ma spingo. Non c’è più tempo. Chiamo Andrea. Non troppo forte per non svegliare i bambini… e lui non sente. Ci riprovo, un po’ più forte e con maggiore urgenza. Lui si precipita giù dalle scale. Ci siamo. No, la Paola non è ancora arrivata, sì, facciamo da soli, tranquillo… Gli metto fretta, gli chiedo di andare a prendermi lo specchietto. Alla contrazione successiva guardo e vedo la cosa rugosa che prima avevo sentito, è bianca e nera… il nostro bimbo sarà un cappellone!

Sono inginocchiata sul pavimento davanti al divano, sopra un telo impermeabile. Non c’è più tempo per stendere il nylon. Mi faccio aiutare ad infilare un asciugamano sotto le ginocchia appena in tempo perché le contrazioni si susseguono velocissime. Spingo ancora e la testa del mio bambino esce… e lì si ferma, metà dentro metà fuori. Oddio quanto brucia… la tocco, la carezzo, sento il perineo tesissimo e nel momento stesso in cui lo tocco il bruciore scompare. Ne rimango stupita, non sento più dolore.

Chiedo ad Andrea se vede qualcosa, sì, vede anche lui la testina, mi chiede perché non la spingo fuori, mi viene da ridere, gli spiego che non posso, devo aspettare la prossima contrazione. Un flash… ho letto tanto in rete in questi due anni durante i quali ho difeso la mia scelta e promosso il diritto di ogni donna di partorire in casa. La distocia di spalla, chissà perché è stato tra i potenziali problemi paventati dai “terroristi” anti parto-a-domicilio che mi aveva colpito di più. E in quel momento mi torna in mente. Ma non c’è tempo per pensarci.

Contrazione, non spingo, voglio che Andrea sia sicuro e pronto e quindi aspetto. Appena passa gli dico che alla prossima spinta nascerà il nostro bambino, lui si piazza dietro di me, l’asciugamano pronto e arriva una nuova contrazione. E stavolta spingo con tutta la forza che ho. Sento il corpicino che scende, sostengo la testa finché escono le spalle, poi lascio la presa per puntare le braccia e spingere meglio e, con un ultimo sforzo (ore 7.45)  eccola, quella sensazione indescrivibile… Samuel è nato! Piange, tossicchia, ingorgato dal liquido… è tra le braccia del papà che me lo porge, lo accolgo sul mio petto e lui si appoggia, chiude gli occhi e si rilassa.

Gli accarezzo il viso e sotto la vernice caseosa che lo ricopre la pelle è rosa, liscia, morbida… Lui si muove, mugugna, cerca di ciucciarsi la mano. Lo sposto un po’ e lui, come se non avessefatto altro in quei mesi di attesa si attacca al capezzolo e ciuccia… tira con forza, il mio piccoletto!

Io e Andrea ci guardiamo, è un momento magico e indimenticabile. Vogliamo che lo vivano anche i bambini e Andrea va a svegliare Tabita e Luca che arrivano a rimirare il loro nuovo fratellino. Poi Tabita va a svegliare anche Febe. Lei arriva, piazza una mano sulla testolina di Samuel, sopra l’asciugamano e da lì non la sposta più.

Guarda Samuel, solleva gli occhi e mi guarda, raggiante ripete “Il mio bimbo!”… Chiamo mia mamma e mio papà, do loro la notizia, poi telefono a Paola “Dove sei?” “Bloccata tra un camion e un trattore” “Be’, fa con calma, noi abbiamo già finito!” Quando arriva, venti minuti dopo la nascita, siamo tutti lì in adorazione del piccolo Samuel che ciuccia.

Le racconto come sono andate le cose, la mia gioia, scherziamo con Andrea sul suo futuro da ostetrico, io continuo ancora a pensare che non può essere vero, l’ho fatto, l’ho fatto davvero!

Con calma completiamo l’opera. La placenta è già scesa, ma non l’ho spinta fuori… vorrei evitare di macchiare il divano e ho solo due teli impermeabili sotto di me. Con l’aiuto di Paola la placenta esce e il divano è salvo! Poi lei blocca il cordone con il filo di seta (perché mai vengono usate quelle clip di plastica che rimarranno giorni a rompere le scatole quando il filo fa la stessa funzione e dà meno fastidio?!?) e Andrea lo taglia.

Preparano il bagnetto, Samuel viene immerso nell’acqua con la collaborazione di Febe che non lo perde di vista un secondo. Peso: 3,820 kg! Non l’avrei detto, è il più grosso di tutti i suoi fratelli eppure mi pareva che fosse più piccolo quando è uscito… cosa vuol dire poter stare nella posizione che si vuole e spingere quando si vuole!

Ecco la nostra storia. La storia di una mamma che sentiva che dare alla luce un bimbo da sola era il modo più bello. La storia di un bimbo che ha scelto di nascere esattamente quando sapeva che avrebbe potuto realizzare il desiderio della sua mamma. La storia di un papà che non si è fatto prendere dal panico e che ha deciso di fidarsi della sua donna e del suo cucciolo. La storia di tre bambini, le cui nascite hanno dato forza e sicurezza alla loro mamma, facendola crescere e rendendola consapevole della sua capacità. La storia di una famiglia nuova.

Ecco, ci pensavo pochi giorni fa, quando Samuel ha compiuto un mese. Partorire in casa è pericoloso. E lo è ancora di più un parto auto-assistito… si rischia di desiderare di rivivere quel momento, ancora, ancora e ancora! E ritrovarsi con una famiglia piuttosto numerosa!


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