San Sebastian-Porto

Creato il 25 giugno 2014 da Storiediritratti @GianmariaSbetta
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Questa la iniziamo come Marquez nel suo romanzo Cronaca di una morte annunciata che fa più o meno così, “Il giorno in cui Santiago Noser venne ucciso…”.A me oggi fortunatamente – fortunato de che? – non mi ammazza nessuno, comunque un pensierino sul buttarmi di sotto dal terrazzo ce lo faccio: se penso che là fuori c’è una nebbia che fa schifo e sfogliando il calendario sei mesi indietro trovo il Casco Vejo di San Sebastian stritolato dal sole, disseminato di tanti puntini colorati ad abbracciarmiEcco, un parallelismo narrativo ce lo vogliamo trovare e allora partiamo da qui: “il giorno in cui ci siamo svegliati e abbiamo deciso di andare verso Oporto, in Portogallo… non lo sapevamo”.

San Sebastian è tutto quello che uno studente può volere per il suo erasmus, che un lavoratore può volere per il suo lavoro, che uno che non fa un cazzo può volere per il suo non fare un cazzo. Amen.Avevamo alle spalle la notte del Jazz Festival  – conosciuto anche come Heineken Jazzaldia -, trovato per caso nei giorni della nostra non preventivata permanenza, organizzato in spiaggia a due passi dalle onde del mar Cantabrico, alla foce del fiume Urumea.

La cena in strada con polpo e baccalà rigorosamente al bancone di uno dei migliori buchi della cittadina, Borda Berri, in Fermin Calbeton 12, che sforna pintxos da dare testate nel muro. Dove un tizio avverte i colleghi dalla cucina con strilli in spagnolo che se ancora non ti riempiono lo stomaco ti riempiono il cuore.Poi via nella notte di San Sebastian. Unica certezza: i Paesi Baschi tra le meraviglie di questo paese e non solo.Suoni, odori, c’è tanta vita in un concerto in spiaggia. I granelli di sabbia nei pantaloni, il mare a due passi accompagna il Rythm and Blues e il Jazz.Jam Sessions improvvisate.

La gente balla, canta. Beve anche. I migliaia di presenti accompagnano il concerto con birra e calimotxo. Pochi giorni prima in una bettola di Bilbao un tizio sulla cinquantina di nome Jesus ce lo aveva introdotto, con un ampollina impugnata con il dito mignolo e il pollice a bilanciare la presa lo tracannava facendolo sgorgare giù da venti centimetri o più, un mix di vino-sangria e coca cola, senza respiro alcuno lo buttava giù come acqua.

Poi arriva un altro giorno e sperimenti, libero, senza vincoli ne orari, questo viaggio non ne ha mai avuti. La mattina cui ci siamo svegliati in Narrika 5, una viuzza delle tante, ma non troppe, che disegnano un waffel geometricamente perfetto al centro della cittadina basca, avevamo una camera di ostello da condividere con due olandesi piuttosto mascoline e una cucina in comune comunque migliore di altre cucine in comune di altri ostelli, dove avevano dell’ottimo pane da toast e della pessima marmellata.Avevamo un po’ di ansia non giustificata da una possibile multa sulla nostra Panda ancora senza metano, ad aspettarci pochi incroci più in là davanti al lungomare, dove evidentemente si poteva parcheggiare ma a pagamento. In ogni caso, una multa all’estero non ci preoccupò granchè, l’ansia ricordo che se ne andò allegramente dopo il primo toast con quella marmellata immangiabile.

Ti guardi intorno, fai i bagagli che poi sono due borsoni con dentro tutto. Le due mani di plastica sono ancora sulla cappelliera, saluti la compagnia dell’ostello e tagli tutta la Spagna con l’alternarsi di colori paglierini, paesaggi infiniti, in cui ti sembra di fluttuare. Emozioni, delle più libere e primitive. E qualche sosta. Leon, Salamanca, amico dove andiamo? Verso Ovest vero, ma le città che incontriamo sono tante, decidiamo. Guida, guidiamo, che differenza fa. Punta il dito dai, l’Autopista è gratis, la benzina no. Fratello siamo a Vitoria, ancora Paesi Baschi ma almeno c’è il metano. Pieno di metano e benzina a 1,3. La Panda ora è piena. Facendo due conti può portarci ai confini del Portogallo, l’adrenalina ci porterebbe dritti in Brasile.

Siamo tutti sudati, i concorsi di bellezza sono tutti chiusi e non abbiamo comunque l’invito dal Re. In auto ci sono fazzoletti, scarpe, pantaloni quando decidiamo di viaggiare in mutande. In ordine sparso, dal sedile posteriore al passeggero.Il gazpacho alla stazione di servizio a pochi passi da Leòn lo mangiamo in compagnia di una decina di mosche e una signora che tiene il suo ristorante come io tengo il mio garage. L’amico va matto per questa zuppa fredda a base di verdure, io dopo un po’ preferirei mangiarmi le mosche, calde o fredde non fa differenza. Il ristorante tutto vuoto intorno, qualche avventore che prende una bottiglia d’acqua e mette benzina.

Riparti, sbagli strada, i sessanta chilometri a vuoto intorno a Leon non sono mai stati così piacevoli, ne imbocchi di nuove e ogni occasione è un’opportunità, il sole intanto splende alto fino all’ora di cena. La soundtrack, Pink Floyd, ACDC, ci porta dritti al confine. L’amico non varia il canovaccio, ogni tanto chiude un occhio, ogni tanto mette fuori una mano, un piede, si prende l’aria in faccia a cento orari, il paradigma della libertà terrena. La giornata passa, guadagni un’ora di fuso orario, il tempo te lo deve e se n’è accorto. Tu nemmeno ti accorgi di guidare, i cartelli con le città e le distanze vengono annullate senza sosta, la stanchezza è lontana e hai solo voglia di viaggiare. Sensazioni uniche, non potevamo capirle prima, non sappiamo spiegarle ora. Comunque, hasta luego Espana, biemvenido in Oporto. Non ci credevamo nemmeno noi, non l’avevamo messo in conto, la strada era lunga e i chilometri percorsi gli abbiamo persi da un pezzo. La lingua portoghese e la sua musicalità ci hanno già fatto impazzire. Cerchiamo da dormire? Starei sveglio tutta la notte.

A me Porto già piace. Si sale e si scende a Porto, ma più in generale quando arrivi di notte in una città la fantasia vola libera. Adrenalina pura.
Il gazpacho mi torna a gola.
Parabens.

Jacopo