Sankara: “Si può uccidere un uomo non le sue idee”

Creato il 16 ottobre 2012 da Coriintempesta
di: F.D. - f.dessi@rinascita.eu -

“Si può uccidere un uomo non le sue idee”era solito dire Thomas Sankara, il “Président du Faso”, come viene ancora oggi ricordato dai burkinabè. Mai parole furono più azzeccate. Sankara è stato ucciso 25 anni fa, il 15 ottobre del 1987, ma le sue idee, i suoi insegnamenti, i suoi valori sono più vivi che mai.

Nel giorno del suo anniversario, è doveroso ricordare chi fosse Thomas Sankara, il Che Guevara africano. La sua storia rivoluzionaria ha inizio il 4 agosto 1983, in Alto Volta, quando capitano dell’esercito voltaico prese il potere con un colpo di Stato senza spargimento di sangue. Il Paese, ex colonia francese, abbandonò subito il nome coloniale e divenne Burkina Faso, che significa “Paese degli uomini integri”. Ed è sulla integrità che Sankara partì per cambiare le cose. “Non possiamo essere la classe dirigente ricca in un Paese povero”, era solito dire Sankara, che sostituì le auto blu destinate agli alti funzionari statali, dotate di ogni comfort, con utilitarie.

“È inammissibile che ci siano uomini proprietari di quindici ville, quando a cinque chilometri da Ouagadougou la gente non ha i soldi nemmeno per una confezione di nivachina contro la malaria” sosteneva il Président du Faso, che viveva in una casa umile. Nella sua dichiarazione dei redditi del 1987 i beni da lui posseduti risultavano essere una vecchia Renault 5, libri, una moto, quattro biciclette, due chitarre, mobili e un bilocale con il mutuo ancora da pagare. Per rilanciare l’economia del Paese, la cui terra non è mai stata fertile, decise di contare sulle proprie forze, di “vivere all’africana”: “Non c’è salvezza per il nostro popolo se non voltiamo completamente le spalle a tutti i modelli che ciarlatani di tutti i tipi hanno cercato di venderci per anni”. “Consumiamo burkinabè”, si leggeva sui muri di Ouagadougou, mentre per favorire l’industria tessile nazionale i ministri furono costretti a vestire il faso dan fani, l’abito di cotone tradizionale, proprio come Gandhi aveva fatto in India con il khadi. Sankara utilizzò le risorse economiche dello Stato per combattere l’analfabetismo, le malattie – come febbre gialla, colera e morbillo – per fornire almeno 10 litri d’acqua e due pasti al giorno a ogni burkinabè, impedendo che l’acqua finisse nelle mani delle multinazionali statunitensi e francesi.

In poco tempo, il presidente burkinabè divenne una celebrità in Africa, destando la preoccupazione delle grandi potenze e delle multinazionali. E le sue grandi lotte – il problema del debito dell’Africa, la lotta contro la corruzione, la promozione della donna, i problemi del mondo rurale, l’educazione – furono presi come esempio da seguire. Ma la sua fama e le sue battaglie gli costarono caro. È in occasione dell’Assemblea dell’Organizzazione dell’unità africana, il 29 luglio ad Addis Abeba, in Etiopia, che Sankara decretò la sua condanna a morte annunciando l’intenzione di non voler pagare il debito internazionale : “Noi siamo estranei alla creazione di questo debito e dunque non dobbiamo pagarlo. (…)Il debito nella sua forma attuale è una riconquista coloniale organizzata con perizia. (…) Se noi non paghiamo, i prestatori di capitali non moriranno, ne siamo sicuri; se invece paghiamo, saremo noi a morire, possiamo esserne altrettanto certi”. Sempre nel suo discorso ad Addis-Abeba, Sankara dichiarò in presenza dei leader africani: “Dobbiamo nella scia della risoluzione sul problema del debito, trovare una soluzione al problema delle armi (…) io sono militare e porto un arma, ma signor Presidente, vorrei che ci disarmassimo. Perché io porto l’unica arma che possiedo, altri hanno nascosto le armi che pure portano.

Allora col sostegno di tutti, cari fratelli potremo fare la pace a casa nostra. Potremmo anche usare le sue immense potenzialità per sviluppare l’Africa perché il nostro suolo e il nostro sottosuolo sono ricchi”.

Dopo qualche mese dal discorso, il 15 ottobre il presidente Sankara è stato assassinato insieme ad altri suoi compagni durante il colpo di stato orchestrato dal suo migliore amico Blaise Compaoré, con l’appoggio della Francia, degli Stati Uniti, della Libia e della Costa d’Avorio. Sul certificato di decesso del Président du Faso, fino al 2008, veniva riportata come causa la “morte naturale”; dopo quella data l’Onu ha obbligato le autorità burkinabé a cancellare la parola “naturale”. È stato sepolto in una fossa comune, che si trova a due passi da una discarica a cielo aperto. Nonostante siano passati 25 anni, la giustizia non ha fatto il suo corso e molti dei colpevoli della sua morte, tra cui il presidente Compaoré, ricoprono posizioni di potere. Ma il mito di Sankara è più vivo che mai…

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